La tutela del patrimonio storico passa anche attraverso interventi puntuali, mirati e capaci di restituire vita e sicurezza a edifici antichi che custodiscono secoli di spiritualità e cultura. È il caso della chiesa di San Michele Arcangelo a Coldipeccio, nel territorio comunale di Scheggia e Pascelupo, per la quale la conferenza permanente ha dato nei giorni scorsi il definitivo via libera al progetto di miglioramento sismico.
San Michele Arcangelo è una piccola ma preziosa testimonianza dell’architettura romanica appenninica. La sua struttura semplice, raccolta, essenziale, racconta una spiritualità antica, fatta di pietra viva e silenzio.
L’edificio presenta una unica navata, una formula tipica delle chiese rurali medievali, costruite con materiali locali: muratura portante in pietra e laterizio, tetto a capanna e una copertura lignea sorretta da tre capriate, correnti e travicelli che sostengono il pianellato.
Un’architettura apparentemente umile, ma perfettamente integrata nel paesaggio montano e capace di tramandare un’identità precisa, un legame profondo tra comunità e territorio.
Il progetto approvato prevede una serie di interventi indispensabili per consolidare l’edificio, colpito nel tempo dall’usura, dagli agenti atmosferici e soprattutto dagli eventi sismici che hanno interessato l’Appennino centrale.
Tra le opere previste:
puntellatura del solaio ligneo di copertura,
ripristino e ricostituzione delle parti murarie ammalorate,
interventi sugli intonaci interni delle due pareti trasversali,
tinteggiatura finale a base calce, nel rispetto delle tecniche tradizionali.
L’obiettivo è garantire stabilità, sicurezza e un miglior comportamento strutturale dell’edificio in caso di nuove sollecitazioni sismiche.
Il costo complessivo dell’intervento è di 100.000 euro, cifra mirata ma strategica per mettere in salvo un bene che rappresenta un capitolo della storia religiosa e culturale di Scheggia e dell’intero territorio eugubino-gualdese.
Il commissario straordinario alla ricostruzione post-sisma, Guido Castelli, ha espresso soddisfazione per l’approvazione del progetto, sottolineando l’importanza di un lavoro continuo e condiviso tra istituzioni civili ed ecclesiastiche.
«È fondamentale tutelare pezzi della nostra storia e del nostro retaggio quali sono le nostre chiese – ha dichiarato Castelli –. Lavoriamo senza sosta al loro recupero per restituirle al più presto ai fedeli».
Il commissario ha poi voluto esprimere gratitudine verso tutti gli attori coinvolti: «Colgo l’occasione per ringraziare il presidente della Regione Stefania Proietti, il vescovo Luciano Paolucci Bedini, l’Ufficio ricostruzione e il sindaco Fabio Vergari per la loro collaborazione».
Parole che riflettono un metodo ormai consolidato: la ricostruzione come azione corale, frutto di un intreccio virtuoso tra enti pubblici, Chiesa e comunità locali.
La chiesa di Coldipeccio non è soltanto un edificio religioso: è un simbolo di continuità, un punto di riferimento storico per la piccola comunità sparsa tra boschi, crinali e borghi rurali. Come accade per tanti luoghi sacri dell’Appennino, la sua presenza scandisce ancora oggi la memoria collettiva, custodisce riti antichi, ricorrenze, racconti tramandati di generazione in generazione.
Interventi come quello approvato dimostrano quanto sia urgente proteggere questo patrimonio fragile, spesso lontano dai grandi centri, ma fondamentale per preservare l’identità più profonda dell’Umbria montana.
La scelta di materiali compatibili con le tecniche costruttive originarie, l’attenzione per la reversibilità delle opere e l’uso di tinte a base calce indicano una direzione chiara: conservare senza snaturare, rafforzare senza alterare l’autenticità storica.
È un approccio che rispetta sia la struttura romanica sia il contesto paesaggistico, valorizzando la relazione tra l’edificio e il territorio circostante, elemento essenziale dell’architettura medievale umbra.
Se da un lato questi lavori rispondono all’urgenza della sicurezza, dall’altro rappresentano un investimento culturale a lungo termine. Salvare la chiesa di San Michele Arcangelo significa preservare un luogo di fede, ma anche uno spazio di memoria, un frammento di Appennino che parla del passato e continua a generare senso per chi lo vive.
La ricostruzione, in questo caso, non è solo un’operazione tecnica, ma un gesto di custodia, un atto di amore verso un territorio che resiste, cambia, si rigenera.
È un segnale importante: la bellezza antica dei borghi e delle loro chiese non è un ricordo immobile, ma una responsabilità condivisa, da tramandare intatta alle generazioni future.