Un umbro su due compra ormai online: nel 2024, il 44,9% dei residenti - 383.000 persone - ha effettuato acquisti digitali negli ultimi 12 mesi, posizionando l’Umbria all’ottavo posto nella classifica nazionale Istat, davanti a Lombardia ed Emilia-Romagna ma dietro Trento (49,2%), Valle d’Aosta (47,2%), Toscana (47%) e Friuli-Venezia Giulia (46,4%). Questo dato intermedio riflette una digitalizzazione solida, con imprese e-commerce triplicate in dieci anni (+204,7%, da 196 a 596 unità), trainate da Perugia (+206,5%). Rispetto alla media italiana del 53,6% (Eurostat), la regione supera il Sud - Calabria ultima al 27,6% - ma deve accelerare per eguagliare il Nord-Est. Si tratta dei dati relativi all'ecommerce in Italia elaorati dalla CGIA di Mestre, che col suo Ufficio Studi ha fotografato la mappa degli acquisti digitali.

Nei primi dieci mesi del 2025, le vendite online in Umbria crescono del 2,1%, un dato doppio rispetto al calo dello 0,7% registrato dai negozi di vicinato, e in linea con il trend nazionale dove l’e-commerce B2C sfiora i 60 miliardi di euro. Tuttavia, il commercio fisico domina ancora con quasi il 90% del totale retail: una percentuale che scende all’11% per i prodotti e sale al 17% per i servizi. Settori come abbigliamento (23,2%), articoli casa (13,7%) e streaming (13,4%) guidano la corsa digitale, lasciando intravedere un potenziale ancora inespresso per filiere locali come l’agroalimentare e il turismo.
“Il digitale non cancella il territorio, ma lo riorganizza”, osservano alla Camera di Commercio dell’Umbria, dove si investe in formazione e banda larga per sviluppare piattaforme locali, specie a Terni, dove l’incidenza dell’e-commerce sull’economia locale è ancora allo 0,9%. Le priorità? Digitalizzazione strutturale - con strumenti come cloud, ERP e CRM per artigiani e piccoli commercianti - e un alleggerimento fiscale su affitti e tasse per rivitalizzare i centri storici.
L’Umbria si colloca in una posizione di eccellenza al Centro Italia: supera Marche (41,7%) e Abruzzo (39,8%), e si avvicina a Lazio (45,7%) e Toscana (47%). Tuttavia, il confronto con il Nord-Est - con Veneto (46,2%) e Liguria (45,2%) - e ancor più con le regioni del Sud, come Campania (32,9%) e Sicilia (30,7%), evidenzia un divario non solo culturale ma infrastrutturale. Dal 2019 a oggi, le vendite online in Italia sono esplose del 72,4%, mentre i piccoli negozi hanno segnato un modestissimo +2,9%. Un salto che ha allargato le quote di mercato, ma non ha spento la luce delle vetrine.
La vera partita, oggi, non si gioca tra online e offline, ma sulla capacità di costruire un quadro regolatorio equo. “Non servono battaglie nostalgiche a difesa del negozio fisico - si legge nel report dell’Ufficio Studi della CGIA - ma misure che favoriscano la concorrenza e la sostenibilità”.
Servono, in altre parole, regole fiscali competitive per tassare le vendite digitali in base alla localizzazione effettiva dei consumi, contrastando il fenomeno delle multinazionali che pagano le tasse in Paesi a fiscalità agevolata.

Il rischio, altrimenti, è uno sbilanciamento che non tiene conto del valore sociale dei negozi di prossimità: creano lavoro localmente, alimentano circuiti di spesa radicati nel territorio, offrono servizi personalizzati e contribuiscono all’attrattività e alla sicurezza urbana. L’e-commerce, d’altronde, ha imposto nuovi standard di comodità - acquisti 24 ore su 24, consegne rapide, resa semplice - che i piccoli esercizi possono fare propri solo attraverso una transizione digitale supportata e non episodica.
I numeri raccontano di una regione che corre, ma non sprinta. Con un tasso di digitalizzazione solido e una crescita delle imprese e-commerce triplicata in un decennio, l’Umbria potrebbe diventare un laboratorio di quella “via italiana” al commercio che bilancia innovazione e radicamento. La sfida è trasformare il digitale da minaccia a opportunità di ampliamento del mercato, senza perdere l’anima sociale e economica dei centri urbani. “Ciò che manca - conclude il report - è una cornice politica ed economica che permetta alle piccole attività locali di competere su parametri equi, riconoscendone il valore”. Per l’Umbria, e per l’Italia, la partita è ancora aperta.