In Umbria il calo della popolazione non coincide più con l’abbandono dei territori. È quanto emerge da un focus curato da Giuseppe Coco, Responsabile dell’Area “Mutamenti sociodemografici” dell’Agenzia Umbria Ricerche (AUR), che invita a leggere lo spopolamento non come una perdita, ma come una trasformazione del modo di abitare.
Oggi oltre la metà dei comuni umbri conta meno di cinquemila abitanti, alcuni poche centinaia. Eppure, dietro quei numeri si muove una realtà più viva e complessa di quanto le statistiche lascino immaginare. Ci sono borghi che si riempiono d’estate, case che si accendono come fari temporanei, laboratori d’arte che resistono dove un tempo c’erano botteghe. È una vita intermittente, ma non per questo meno reale.
“Parlare oggi di spopolamento non è semplice. I numeri ci raccontano un calo, ma non tutta la verità”, osserva Coco, che da anni studia i movimenti sociodemografici della regione. “In molti territori il declino demografico non coincide con l’abbandono. Si moltiplicano presenze nuove, stagionali o temporanee, che danno continuità alla vita dei luoghi”.
Dietro la rarefazione anagrafica si nasconde quindi una riformulazione dell’abitare: meno legata alla residenza stabile, più fondata sulla mobilità, sulla scelta di vivere i luoghi in modi differenti, talvolta frammentari, ma intensi.

Il fenomeno è trasversale. Dai centri dell’Appennino ai paesi della valle umbra, la mappa si ridisegna seguendo forme di presenza che mutano con le stagioni. Ci sono comuni che in inverno sembrano deserti e in estate si ripopolano di seconde case, turisti, studenti, artisti in residenza.
“Ci sono borghi senza negozi ma con laboratori e residenze d’artista, spazi che diventano luoghi di produzione culturale”, si legge nel focus.
È la prova di una vitalità diffusa, che non si misura soltanto nei registri anagrafici ma nella capacità di un territorio di restare riconoscibile e accogliente.
La ricerca dell’AUR rileva che più della metà dei comuni umbri rientra oggi nella fascia sotto i cinquemila abitanti. Tuttavia, questa condizione non coincide con un impoverimento strutturale. In molti casi si osserva una riattivazione dei luoghi attraverso pratiche di prossimità, economie lente e reti di socialità minuta: piccole attività, agriturismi, produzioni locali, spazi condivisi.
L’Umbria - si legge nel report - sta sperimentando un equilibrio fragile ma promettente tra declino demografico e nuova vitalità territoriale.
“I luoghi si fanno più intermittenti, più silenziosi, ma restano abitati”, afferma Coco, sottolineando come l’esperienza dell’abitare oggi si definisca sempre più nel movimento. È un abitare che non coincide con la residenza, ma con la capacità di mantenere relazioni, di tornare, di riconoscere il valore del legame con un territorio anche a distanza.
Il focus invita a riconsiderare il concetto stesso di “abitare”. Un tempo sinonimo di stabilità, oggi è diventato una pratica fluida, fatta di ritorni, sospensioni, attraversamenti. Le persone non vivono più in un solo luogo ma intrecciano più spazi di vita, tra città e campagna, tra lavoro e tempo libero.
Questa mobilità non svuota, ma anzi arricchisce i territori che la accolgono. Nei borghi umbri arrivano nuovi abitanti temporanei: americani, olandesi, tedeschi, ma anche romani e milanesi attratti da una qualità dell’esperienza che altrove si è rarefatta. Cercano silenzio, tempo, contatto umano – e finiscono per alimentare una rete di relazioni che sostiene la comunità locale.
L’Umbria, scrive l’AUR, è un laboratorio vivente di questa pluralità di presenze. Dai casali restaurati tra le colline ai micro-eventi culturali che si moltiplicano nei borghi, emerge una resilienza che si misura più nella qualità dei legami che nella quantità dei residenti.
“Ciò che chiamiamo spopolamento non coincide necessariamente con una perdita definitiva”, conclude Coco. “Spesso è una ridistribuzione delle presenze, un cambio di ritmo e di funzione dei luoghi”.
Alla fine, la vera notizia è che lo spopolamento in Umbria non racconta più solo un addio, ma un ritorno differente, meno visibile ma più profondo. Una metamorfosi silenziosa in cui il territorio si ridefinisce attraverso chi resta, chi torna, chi passa.
E in quella trama di presenze intermittenti - fragili ma tenaci si misura forse la nuova identità dell’Umbria contemporanea, una regione che non rinuncia ad abitare sé stessa, anche quando cambia forma.