C’è un momento in cui l’ultimo disagio sopportabile diventa il primo intollerabile. Per la Regione Umbria e per i suoi pendolari, quel momento è scattato alle 18:47 di lunedì primo dicembre, sulla banchina deserta della stazione Tiburtina a Roma. Lì, dopo tre ore e sette minuti di un viaggio ai confini dell’assurdo, è terminata l’odissea del Treno Regionale 4514, partito da Termini per Foligno.
Un episodio che non è più un incidente, ma il manifesto di un sistema malato. E che ha spinto l’assessorato ai Trasporti, guidato da Francesco De Rebotti, a scatenare una mobilitazione istituzionale senza precedenti: una richiesta ufficiale e urgente di incontro al ministro Matteo Salvini, ai vertici di Rete Ferroviaria Italiana e di Trenitalia (nella foto di copertina con Salvini ci sono gli AD Donnarumma e Striguglio, ndr), e la chiamata alle armi di tutti i sindaci dei Comuni più colpiti. Non una lamentela, ma una dichiarazione di guerra al caos. Perché quando un treno, quasi giunto a destinazione, viene fatto retrocedere per chilometri lasciando i passeggeri in ostaggio, la politica - questa la richiesta pressante dei pendolari - deve fare muro.

Quella di lunedì è stata solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso colmo da mesi. Nella formale richiesta di incontro inviata al Ministro, a Rfi e a Trenitalia, l’assessore De Rebotti passa dalla denuncia dell’emergenza all’analisi spietata della strategia che sta dietro al disservizio. Il problema non è transitorio, legato solo ai cantieri del Pnrr, ma strutturale e voluto. La saturazione della linea direttissima Roma-Firenze, di cui si discute da un decennio, ha trovato nei lavori in corso l’alibi per una accelerazione definitiva della marginalizzazione dei treni regionali.
I dati presentati dalla Regione sono implacabili. Durante i negoziati per il catalogo dei servizi del 2027, è emerso che a tutti i treni regionali e Intercity diretti in Umbria sarà riservata, nel complesso, una sola traccia oraria.
Un dato agghiacciante se confrontato con le quattro tracce garantite prima dell’avvio dei cantieri finanziati dal Pnrr. È un crimine perfetto contro la mobilità regionale: si investono fondi europei per ammodernare l’infrastruttura, e come effetto perverso si riduce del 75% la capacità di trasporto pubblico di una intera regione. “Questa scelta sta isolando ulteriormente l’Umbria, che già soffre per la mancanza di servizi di Alta Velocità”, si legge nella missiva, che parla di “netta prevalenza dei servizi a mercato rispetto a quelli regionali e del servizio universale”.
Di fronte a un quadro così compromesso, la Regione Umbria non chiede piccoli aggiustamenti. Chiede una svolta di politica nazionale. E per ottenerla, alza il livello dello scontro, chiamando in causa direttamente la massima autorità politica del settore. “È evidente la necessità di una regia più elevata per affrontare questa delicatissima fase”, è la richiesta chiara a Salvini. Una regia che deve imporre una visione d’insieme a Rfi (proprietaria della rete) e a Trenitalia (gestore del servizio), soggetti che fino ad oggi hanno mostrato un coordinaento disastroso.
L’esempio portato è emblematico: la sperimentazione dei treni duplex, convogli a due piani che potrebbero aumentare subito la capienza e alleviare i sovraffollamenti. Una soluzione tecnicamente fattibile e caldeggiata da Rfi, ma che è stata bloccata dall’opposizione di Trenitalia. Una contraddizione che per l’Umbria è inaccettabile e dimostra la mancanza di un interesse comune a risolvere i problemi dei pendolari.
Per questo l’incontro chiesto non sarà un tecnico tra esperti. Sarà un tavolo di crisi politico, a cui De Rebotti chiede di partecipare con una delegazione dei sindaci dei territori più martoriati. “Domani mattina scriverò a tutti i Sindaci per chiedere di recarci insieme al Ministero dei Trasporti per pretendere che cessi questo accanimento”, aveva annunciato. L’obiettivo è trasformare la rabbia dispersa di migliaia di pendolari in una potenza contrattuale unitaria. Non si tratta solo di chiedere più treni in orario. Si tratta di rivendicare il diritto all’esistenza su una rete ferroviaria nazionale che, nei fatti, sta decidendo di marginalizzare intere regioni. La battaglia per il treno 4514 è diventata, in una notte, la battaglia per il futuro stesso dell’Umbria come territorio connesso.
La cronaca di quella serata ha il passo claustrofobico di chi è rimasto imprigionato in una carrozza, guardando dal finestrino lo stesso panorama che si allontana per la seconda volta. Il treno 4514 era partito regolarmente da Roma Termini. A bordo, il consueto carico umano di studenti, lavoratori, famiglie di ritorno nella regione. Il convoglio aveva ormai superato la stazione di Fara Sabina e stava per entrare nel nodo di Orte, il cruciale snodo che immette sulla linea per l’Umbria. A quel punto, come un nastro che si riavvolge, tutto si è invertito. Un guasto sulla linea principale ha bloccato tutto. La decisione operativa di Rfi è stata di deviare tutti i treni umbri sulla linea lenta. Ma per il 4514, ormai troppo avanti, non c’era alternativa se non una manovra eccezionale: retromarcia fino alla stazione Tiburtina, da dove avrebbe poi ripreso il viaggio sulla via secondaria.
“Pendolari chiusi in un treno da quasi tre ore. Sono ancora lì dentro, a Tiburtina, in attesa di percorrere poi la linea lenta, come ultima beffa”, ha scritto quella stessa notte un amareggiato Francesco De Rebotti su Facebook. La sua rabbia era per il paradosso osservato in diretta: mentre il regionale umbro marciva fermo, i binari accanto vedevano sfrecciare, con puntualità imperturbabile, i Frecciarossa di lunga percorrenza. “Nel frattempo continuano a dare precedenza ai Frecciarossa che provengono da Termini”, l’amara constatazione. Una gerarchia di importanza scritta nei secondi di ritardo, percepita come uno sfregio istituzionale. Quella retromarcia non era solo un inconveniente tecnico, ma un simbolo potente: l’Umbria e i suoi servizi essenziali possono essere rispediti indietro, sacrificati sull’altare della redditività e del traffico nazionale.