L’Umbria lavora di più, ma si svuota. È il paradosso che emerge dal Rendiconto sociale Inps 2024, un documento che racconta le tensioni di una regione che si regge su microimprese, redditi modesti e un tessuto sociale che invecchia. L'indagine è stata presentata nell'Aula Magna della Scuola Lingue estere dell'Esercito a Perugia, alla presenza anche di rappresentanti delle istituzioni, dei sindacati e delle associazioni di categoria.
Cresce l’occupazione, scende la disoccupazione, ma restano squilibri profondi tra uomini e donne. Intanto la denatalità continua a erodere la base demografica e la fuga dei giovani riduce la popolazione attiva.
Nel 2024 il tasso di disoccupazione umbro è sceso al 4,8%, contro il 6,8% nazionale. Un risultato che segnala vitalità, ma dietro le percentuali si nasconde un’economia dove il lavoro è spesso precario o poco qualificato.
Il presidente regionale dell’Inps, Marcello Giannico, lo riassume così: “In Umbria cresce l’occupazione, ma il reddito medio rimane inferiore a quello nazionale e il divario tra uomini e donne è ancora marcato".
Il cuore del problema resta il gender pay gap, che in Umbria non si chiude neppure al momento della pensione. Le donne percepiscono in media 500 euro in meno al mese rispetto agli uomini, una forbice che si allarga nelle fasce più qualificate e nei settori pubblici.
La partecipazione femminile al lavoro è in aumento, ma spesso condizionata da part-time involontari e carichi familiari ancora sbilanciati. Il risultato è un mercato che include di più, ma non valorizza le competenze femminili.
Accanto a questo, emerge un dato generazionale allarmante: circa 12 mila giovani tra 15 e 29 anni non studiano e non lavorano. È una generazione sospesa, formata ma senza prospettive. Il lavoro c’è, ma è discontinuo, frammentato, incapace di garantire stabilità o crescita professionale.
Il saldo demografico è negativo: più decessi che nascite, e un progressivo invecchiamento della popolazione. Il saldo migratorio resta positivo, ma non basta a invertire la tendenza.
Nel suo intervento, il direttore regionale Inps, Antonio Di Marco Pizzongolo, ha richiamato l’attenzione su un aspetto cruciale: la struttura produttiva umbra è composta per oltre il 90% da microimprese con meno di 9 dipendenti.
Un modello che ha garantito resistenza nei momenti di crisi, ma che oggi mostra limiti strutturali. "Questa frammentazione - ha spiegato Pizzongolo - comporta una competizione interna forte, ma anche difficoltà di accesso al credito e minori investimenti in ricerca e formazione".
Le microaziende restano la spina dorsale dell’economia regionale, ma la loro scala ridotta limita la crescita dei salari e impedisce la creazione di un vero welfare aziendale. Così l’Umbria regge, ma non attrae nuovi talenti né trattiene i giovani.
Sul piano economico, il rapporto segnala un aumento delle entrate contributive e una stabilità del sistema pensionistico, ma anche la necessità di politiche mirate per evitare che le diseguaglianze si allarghino.
L’Umbria vive un equilibrio fragile tra occupazione in aumento e redditi stagnanti. I numeri raccontano un dinamismo apparente: la regione lavora, ma non cresce nella qualità del lavoro né nella prospettiva del reddito.
“Dobbiamo rendere questa crescita più solida e duratura”, ha ammonito Roberto Ghiselli, presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza Inps, “altrimenti rischiamo di creare, soprattutto per giovani e donne, occupazione debole e discontinua, con retribuzioni basse e prospettive fragili”.
Insomma, senza un cambio di passo nella politica industriale e nella valorizzazione delle competenze, rischia di consolidarsi un modello di crescita senza futuro, dove lavorare di più non significa vivere meglio. Una contraddizione che trasforma la crescita in un traguardo a metà. “La regione si conferma sempre più anziana e poco attrattiva. Più che le culle, oggi aumentano le pensioni”, ha osservato Giuseppe Siniscalchi, presidente del Comitato regionale Inps Umbria.
Il Rendiconto Inps 2024 lascia, quindi, una constatazione chiara: l’Umbria tiene, ma non si rinnova. Il lavoro cresce, ma il futuro - quello dei giovani, delle donne, delle famiglie - continua a scivolare verso il margine.