In Umbria più di una famiglia su tre vive sola. È il 37,5%, un dato che supera il 40% nei grandi centri come Perugia e Terni e sfiora il 39% nei piccoli comuni. È la fotografia di un’Italia che cambia, raccontata dallo studio firmato da Giuseppe Coco, Responsabile Area “Mutamenti sociodemografici” dell’Agenzia Umbria Ricerche (AUR).
“La solitudine abitativa non è più un’eccezione, ma una condizione stabile e diffusa”, spiega Coco, sottolineando come l’Umbria rappresenti un laboratorio privilegiato per leggere il fenomeno. “Non è la regione con le percentuali più alte, ma la nostra struttura sociale e insediativa permette di osservare con chiarezza le implicazioni della solitudine”.
Il tema non è solo demografico. È soprattutto economico. Perché vivere soli significa sostenere costi fissi senza condividerli, affrontare spese incomprimibili senza avere su chi ripartirle.
Il reddito netto medio delle famiglie unipersonali umbre si ferma intorno ai 1.350 euro al mese. Un valore che, da solo, dice poco. Ma se lo si mette accanto alle spese necessarie – affitto o mutuo, bollette, utenze, trasporti, spese sanitarie – racconta molto.
“Non è solo questione di quanto si ha, ma di come quel reddito si traduce nella vita quotidiana”, evidenzia Coco. Ed è qui che emerge la fragilità strutturale delle famiglie unipersonali. “Senza un secondo reddito o un familiare convivente, ogni spesa pesa di più e ogni imprevisto diventa una minaccia”.
Un guasto all’auto, una bolletta più alta o una visita medica urgente possono destabilizzare un equilibrio già precario. In altre configurazioni familiari, la presenza di un secondo reddito o di un familiare convivente riduce l’esposizione al rischio.
“La solitudine abitativa è anche un tema di resilienza economica. Il nostro lavoro mostra chiaramente che chi vive solo è più vulnerabile alle emergenze quotidiane”, aggiunge Coco.
Lo studio propone tre casi-tipo per dare concretezza ai numeri:
Un’operaia in affitto a Terni, con 1.300 euro di reddito, che destina oltre il 40% del bilancio al canone di locazione e deve comprimere ogni altra spesa. “Per lei, anche un piccolo imprevisto può diventare un problema serio”, commenta Coco.
Un funzionario con mutuo a Perugia, che con 1.500 euro mensili si trova a gestire una rata di oltre 500 euro e spese fisse che lasciano margini ridottissimi. “Il mutuo assorbe gran parte delle risorse, lasciando poco spazio per le scelte quotidiane”.
Un pensionato in un piccolo comune, con 1.100 euro al mese, che vive in casa di proprietà ma deve fronteggiare spese sanitarie sempre più frequenti. “Anche per chi ha la casa di proprietà, la solitudine pesa, perché le spese non diminuiscono e il supporto familiare manca”.
Tre scenari diversi, ma un filo conduttore comune: la vulnerabilità di bilanci in equilibrio precario. “Ogni voce inattesa può diventare una frattura, ogni equilibrio è provvisorio”, sottolinea Coco.
Il dato umbro si inserisce in una dinamica nazionale: secondo il Censimento permanente della popolazione e l’Annuario Statistico 2024, oltre un terzo delle famiglie italiane è unipersonale, con picchi oltre il 40% in regioni come Liguria e Lazio.
Non è solo una questione privata, ma un nodo che chiama in causa politiche sociali e territoriali. “Il punto è capire come reggere l’imprevisto in un quadro di solitudine abitativa sempre più diffusa”, riflette Coco.
Il fenomeno apre domande cruciali: quali strumenti di welfare servono per sostenere chi vive solo? Come si possono ripensare i servizi nei piccoli centri e nelle aree interne? Quanto i costi della solitudine abitativa pesano sul sistema sanitario e assistenziale?
In Umbria, osservare questa trasformazione significa leggere in anteprima un’Italia che cambia, dove la famiglia tradizionale lascia spazio a configurazioni più fragili, meno protette, ma sempre più diffuse.