In Umbria la denatalità accelera: tra gennaio e luglio 2025 sono venuti alla luce 2.513 bambini, contro i 2.779 dello stesso periodo del 2024 e i 2.693 del 2023. La flessione è del 9,6%, sensibilmente peggiore del -6,3% registrato a livello nazionale. È il terzo peggior risultato d’Italia, dietro Abruzzo (-10,2%) e Sardegna (-10,1%). Numeri che rilanciano un tema già noto – l’invecchiamento del tessuto demografico – ma che oggi impongono scelte più rapide su servizi, lavoro e conciliazione.
Secondo i dati provvisori Istat relativi ai primi sei mesi del 2025, l’Umbria scivola sul podio delle regioni con la caduta più brusca delle nascite. L’indicatore sintetico del fenomeno è il tasso di natalità, fermo al 3 per mille nel periodo considerato (era 3,3 per mille un anno fa). In valori assoluti, il Paese si ferma a 197.956 nati tra gennaio e luglio 2025, contro i 211.250 dello stesso periodo del 2024 e i 214.407 del 2023.
Poche le eccezioni positive nella mappa italiana: Valle d’Aosta cresce del 5,5%, la Provincia autonoma di Bolzano dell’1,9% e quella di Trento dello 0,6%. Per il resto, prevale il segno meno, con un Centro-Nord che rallenta e alcune regioni – tra cui l’Umbria – che arretrano più della media.
Il calo delle nascite non è un accidente congiunturale. La fotografia umbra riflette tendenze di lungo periodo: età media più alta, compressione del numero di donne in età fertile, percorsi di studio e lavoro più lunghi, precarietà che rimanda le scelte familiari, difficoltà nella conciliazione. In molte aree interne incidono anche la rarificazione dei servizi e la mobilità quotidiana, con la distanza da asili nido e pediatrie che pesa sulle decisioni. A ciò si sommano i costi abitativi e l’inflazione degli ultimi due anni, che hanno eroso la capacità di risparmio delle coppie. La conseguenza è un’ulteriore discesa dei nati, che in Umbria si fa più ripida proprio mentre le coorti dei venti-trentenni si assottigliano.
Un elemento che attraversa l’Italia e riguarda da vicino l’Umbria è la composizione delle famiglie. Nel 2024, come già nel 2023, calano sia i nati da coppie coniugate sia quelli da coppie non coniugate, ma la contrazione è più marcata tra i coniugati. Il Centro detiene la quota più alta di nati da genitori non sposati (49,6%), seguito dal Nord (42,8%); il Mezzogiorno, pur restando più basso, sale al 40,3% (+1,8 punti).
Nel dettaglio regionale, spicca la Sardegna con il 56,6% di nati more uxorio. In Umbria l’indicatore è stabile al 50,7% e nel Lazio è al 50,6%. È un segnale che racconta trasformazioni culturali radicate: la decisione di avere un figlio prescinde sempre più dal matrimonio, ma non per questo diventa più frequente. La scelta genitoriale resta, anzi, più selettiva e tardiva.
Anche i nomi dicono qualcosa dei tempi. A livello nazionale resiste il primato di Leonardo tra i maschi, un dominio che dura dal 2018. Ma in Umbria – come nelle Marche – il primo posto spetta a Edoardo, piccola eccezione che riflette gusti locali e cicli generazionali. Tra le bambine, Sofia continua a guidare in molte regioni del Centro-Nord. È un dettaglio, certo, ma segnala come, anche in una fase di contrazione, il racconto della natalità resti vivo nelle comunità.
Se l’Umbria non vuole rassegnarsi a culle sempre più vuote, serve una risposta coerente su più fronti. Nidi e servizi educativi 0-3 diffusi e accessibili, orari flessibili e tempo pieno a scuola, un welfare aziendale che sostenga davvero i rientri al lavoro, congedi equi per madri e padri. Poi la questione casa: canoni calmierati e sostegni stabili per le giovani coppie possono accelerare scelte oggi rinviate.
Infine il lavoro: contratti non episodici, salari adeguati e percorsi di crescita riducono l’incertezza e rendono sostenibile il progetto di un figlio. I numeri Istat mettono l’Umbria di fronte a una priorità: agire adesso per evitare che il -9,6% diventi il nuovo normale.