24 Sep, 2025 - 18:00

Umbria, lo studio AUR sul paradosso delle competenze: imprese senza tecnici e laureati costretti a emigrare

Umbria, lo studio AUR sul paradosso delle competenze: imprese senza tecnici e laureati costretti a emigrare

Uno studio dell’Agenzia Umbria Ricerche (AUR) mette in luce un nodo strutturale del mercato del lavoro regionale: il crescente disallineamento tra formazione e occupazione. A guidare la ricerca sono stati Elisabetta Tondini, responsabile dell’Area di ricerca “Processi e trasformazioni economiche e sociali”, e Mauro Casavecchia, dirigente di programma.

L’analisi evidenzia come, da un lato, le imprese fatichino a reperire figure specializzate - operai qualificati, tecnici, laureati STEM e professionisti sanitari - mentre dall’altro aumenta il numero di giovani laureati che non trovano in Umbria sbocchi adeguati e scelgono di trasferirsi altrove. Un vero “brain drain” che impoverisce ulteriormente il tessuto produttivo locale.

Il cuore del problema sta nel cosiddetto paradosso delle competenze: chi cerca lavoro spesso non possiede le esperienze pratiche richieste dalle imprese, mentre chi ha le qualifiche non trova nel territorio opportunità stimolanti o ben retribuite.

La carenza strutturale di profili tecnici e specialistici

I numeri raccontano un’emergenza crescente. In Umbria il tasso di difficoltà nel reperimento del personale è salito dal 29,1% del 2018 al 55% del 2024, superando la media nazionale e i dati delle regioni limitrofe. Le criticità colpiscono in particolare i profili operai specializzati, con punte di irreperibilità che raggiungono l’81% per gli addetti alle rifiniture delle costruzioni.

Il fenomeno riguarda anche i laureati, soprattutto negli ambiti dell’ingegneria, dell’informatica e delle professioni sanitarie, con percentuali di difficoltà di assunzione che sfiorano l’80%. L’Umbria, pur registrando un numero elevato di laureati - quasi 5.500 nel 2024 - si colloca al terz’ultimo posto in Italia per fabbisogno di laureati da parte delle imprese. Le aziende umbre, tuttavia, faticano più della media nazionale a trovare i profili altamente qualificati di cui hanno bisogno: il 53,7% delle assunzioni di laureati previste non si concretizza per mancanza di candidati idonei.

La situazione è aggravata da fattori demografici e culturali. Da un lato, il ricambio generazionale è debole e molti giovani non mostrano interesse verso professioni percepite come poco attrattive o scarsamente retribuite. Dall’altro, persiste un deficit reputazionale per i mestieri tecnici, spesso considerati meno prestigiosi rispetto ai ruoli “da ufficio”.

ITS, eccellenza formativa ma numeri ancora troppo ridotti

Una parte del quadro è rappresentata dagli Istituti Tecnologici Superiori (ITS), considerati un modello di eccellenza per la capacità di formare figure pronte per il mercato del lavoro. In Umbria, l’ITS Academy registra tassi di occupazione che arrivano al 95% in settori come la meccatronica. Eppure, la domanda supera di gran lunga l’offerta: nel 2025 i posti disponibili sono appena 275, a fronte di fabbisogni molto più ampi da parte delle imprese.

La Regione Umbria ha approvato nel giugno 2025 un Piano triennale 2025-2027 da oltre 15 milioni di euro per rafforzare i percorsi ITS in ambiti strategici come ICT, energia, agroalimentare e sostenibilità. Ma resta il nodo culturale: molti studenti e famiglie continuano a considerare l’università come scelta preferibile, sottovalutando le prospettive concrete di inserimento lavorativo qualificate che gli ITS garantiscono.

Il nodo del brain drain e la competitività del sistema produttivo

Se per i diplomati tecnici il problema è la scarsità numerica, per i laureati il nodo principale resta la mancanza di opportunità locali. “Le imprese non cercano solo una laurea, ma competenze pratiche e una specifica esperienza lavorativa che i neolaureati spesso non possiedono”, sottolineano Tondini e Casavecchia.

Di fronte a stipendi poco competitivi, carriere incerte e scarse occasioni di innovazione, molti giovani professionisti umbri scelgono di spostarsi verso mercati più dinamici in Italia o all’estero. Un’emorragia che priva le aziende del capitale umano necessario e innesca un circolo vizioso: meno competenze disponibili significano meno possibilità di attrarre investimenti e innovazione.

Il paradosso, quindi, non è un fenomeno accidentale ma il risultato di un intreccio di fattori - sistema formativo, dinamica demografica, reputazione sociale delle professioni e capacità di attrazione del territorio. Un quadro che mette in discussione la tenuta del sistema economico regionale e impone interventi di lungo periodo.

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Federico Zacaglioni
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