Avete mai camminato per le vie di Perugia, Gubbio o Città di Castello con la sensazione che ogni pietra, ogni palazzo, ogni stemma inciso nella pietra racconti una storia antica? Un'epoca in cui le sorti dell’Umbria non erano solo decise nei monasteri o nei campi di battaglia, ma anche tra le sale affrescate di sontuose dimore nobiliari, nei salotti illuminati dalla fiamma dell’intelletto, e negli archivi di famiglie che hanno impresso il loro sigillo sulla storia.
In questo articolo, vi porteremo sulle tracce delle grandi famiglie nobili umbre che hanno saputo fondere ambizione politica, sensibilità artistica e capacità strategica, lasciando un’eredità che ancora oggi respiriamo nei luoghi che hanno abitato e trasformato. Dai Baglioni di Perugia, abili condottieri e raffinati committenti d’arte, ai Vitelli di Città di Castello, protagonisti del Rinascimento militare e culturale; dai Montefeltro che, sebbene legati a Urbino, affondano le radici nel cuore dell'Umbria, ai Della Corgna, nobiltà pontificia con vocazione diplomatica e bellica.
Attraverso le loro vicende, scoprirete una regione segnata da alleanze e tradimenti, fasti e declini, mecenatismo e visioni di potere, ma anche da una straordinaria eredità architettonica e artistica, che ha fatto dell’Umbria un piccolo scrigno di memoria storica. Un itinerario suggestivo per chi ama esplorare l’identità profonda di una terra che non smette mai di raccontarsi.
Quando si parla della Perugia rinascimentale, è impossibile non parlare Baglioni. Signori assoluti della città tra la fine del Medioevo e il pieno Rinascimento, i Baglioni incarnarono, nel bene e nel male, tutte le luci e le ombre del potere nobiliare italiano: brillantezza culturale, ambizione smisurata, rivalità intestine e una sete di dominio che avrebbe segnato profondamente le sorti dell’intera regione.Originaria di una nobile stirpe, la casata conquistò progressivamente l’egemonia cittadina in un clima politico fatto di alleanze mutevoli, congiure sanguinose e lotte feroci contro le grandi famiglie rivali e lo stesso Papato. Ma fu proprio in mezzo a questo contesto turbolento che i Baglioni seppero dare impulso a una delle stagioni artistiche più feconde della storia umbra.
Sotto la loro signoria, Perugia divenne un crocevia privilegiato di cultura e mecenatismo. Commissionarono opere a maestri immortali come il Perugino, Pinturicchio, Raffaello e Piero della Francesca, trasformando chiese, palazzi e oratori in veri e propri scrigni d’arte. L’intreccio tra estetica e potere fu per loro un raffinato strumento politico: ogni ciclo di affreschi, ogni decorazione, era pensata per affermare pubblicamente il prestigio della casata, la sua legittimità e la sua visione del mondo.
Ma se l’apice fu luminoso, la caduta fu altrettanto drammatica. Nel 1500, la famiglia fu scossa da una delle vicende più crudeli della storia rinascimentale: le tristemente celebri Nozze Rosse, una congiura interna ordita da Grifonetto Baglioni che portò all’assassinio di numerosi parenti in un vortice di sangue e ambizione. Un evento così eclatante da ispirare anche l’arte di Raffaello, che ne avrebbe immortalato il tormento nell’iconica “Deposizione Baglioni”.
Il colpo finale arrivò nel 1540 con la Guerra del Sale. Perugia, ribellatasi all’imposizione fiscale del papa Paolo III, fu sottomessa e umiliata: i palazzi della famiglia furono rasi al suolo e al loro posto sorse la monumentale Rocca Paolina, fortificazione simbolo della restaurazione del potere pontificio. Una ferita nella memoria urbana della città, che ancora oggi racconta visivamente l’epilogo di una dinastia tanto potente quanto tragica.
Eppure, camminando per le vie del centro storico di Perugia, nei pressi del Palazzo dei Priori, dell’Oratorio di San Bernardino o dell’antica Piazza IV Novembre, si percepisce ancora il peso della loro eredità: una presenza fatta di pietra, arte e storia, che continua a raccontarci una Perugia inquieta, raffinata, e irrimediabilmente segnata dal genio e dalla follia dei suoi antichi signori.
Passeggiando per il centro storico di Città di Castello, non si può restare indifferenti al fascino silenzioso che emana Palazzo Vitelli alla Cannoniera: un autentico scrigno di storia e meraviglia, emblema del potere, del gusto e del mecenatismo di una delle famiglie più influenti del Rinascimento umbro. I Vitelli non furono solo signori della città, ma veri artefici della sua trasformazione culturale, capaci di fondere ambizione politica, raffinatezza artistica e visione strategica in una stagione irripetibile.
Le origini della casata affondano le radici nel Medioevo, ma fu nel Quattrocento e Cinquecento che la famiglia raggiunse l’apice della sua gloria, con personaggi come Niccolò, Vitellozzo e Alessandro Vitelli: condottieri celebri, alleati dei Medici, protagonisti delle complesse trame politiche e militari dell’Italia dell’epoca. Ma oltre alla spada, i Vitelli brandirono anche la penna e il pennello, diventando committenti e protettori delle arti, in un tempo in cui il mecenatismo era la forma più alta di affermazione sociale.
Il simbolo tangibile di questa grandezza è proprio Palazzo Vitelli alla Cannoniera, voluto da Alessandro Vitelli nei primi decenni del Cinquecento in occasione del suo matrimonio con Paola Rossi di San Secondo Parmense. L’edificio sorge lungo le antiche mura urbiche e prende il nome da una vicina fabbrica di cannoni. Ma dentro quelle mura non si respira aria di guerra: al contrario, si è avvolti da un’atmosfera di rara grazia e armonia.
Le facciate, impreziosite da raffinati graffiti realizzati da Cristofano Gherardi (il Doceno) su disegno di Giorgio Vasari, raccontano la storia della casata attraverso allegorie, stemmi araldici e simboli mitologici. All’interno, le sale affrescate da Gherardi e Cola dell’Amatrice si dispiegano in un percorso narrativo che intreccia mito e celebrazione, amore e virtù, potere e bellezza. Ogni dettaglio parla della volontà dei Vitelli di lasciare un segno indelebile nel tessuto urbano e culturale della loro città. All'esterno, l’antico giardino all’italiana – un tempo popolato da essenze rare e piante esotiche – rappresentava una vera e propria “stanza verde” affacciata sulla città, luogo di svago e contemplazione per l’élite del tempo. Una scenografia ideale per accogliere intellettuali, artisti, diplomatici e ospiti illustri.
Nel Novecento, dopo anni di abbandono, fu l’antiquario Elia Volpi a restituire splendore al palazzo, donandolo alla città che lo trasformò nella Pinacoteca Comunale. Oggi vi si conservano opere di immenso valore, tra cui capolavori di Luca Signorelli, Pomarancio, Andrea della Robbia, Antonio Vivarini e persino un’opera giovanile del giovane Raffaello.
Quando si pensa ai Montefeltro, il pensiero corre subito a Urbino, alla sua corte raffinata e al celebre profilo di Federico da Montefeltro immortalato nei capolavori del Rinascimento. Eppure, per comprendere davvero le origini di questa potente e colta famiglia, bisogna volgere lo sguardo verso l’Umbria, e in particolare a Gubbio e ai suoi dintorni. È qui, tra le dolci e selvagge colline che abbracciano il Castello di Petroia, che nel 1422 nacque proprio lui, Federico da Montefeltro: condottiero, uomo di cultura, mecenate e simbolo stesso dell’umanesimo italiano. Un’infanzia trascorsa tra mura fortificate e boschi secolari, che seppero imprimere in lui non solo il gusto per la caccia e la vita ritirata, ma anche quel legame viscerale con la natura e la terra, elementi che non abbandonerà mai nel corso della sua vita.
Petroia non fu soltanto la sua culla, ma anche un rifugio, un luogo dell’anima. Qui Federico tornava per allontanarsi dai fasti della corte urbinate e riconnettersi alle proprie radici. E se Urbino fu il cuore pulsante del suo governo, Gubbio ne rappresentò l’anima antica, il legame mai reciso con le origini. Non a caso, proprio a Gubbio volle lasciare un segno tangibile del suo potere e del suo amore per l’arte, commissionando il raffinato Palazzo Ducale, uno scrigno di eleganza rinascimentale incastonato in una città ancora fortemente medievale. Affidato all’architetto Francesco di Giorgio Martini, il palazzo rappresenta un perfetto equilibrio tra sobrietà umbra e armonia rinascimentale, un ponte ideale tra due mondi: quello delle origini e quello della gloria.