Terni diventa il primo laboratorio nazionale per l'introduzione di un tesserino identificativo obbligatorio per i rider, rilasciato direttamente dal Comune. Un'iniziativa presentata dalla maggioranza come uno strumento di trasparenza e di contrasto al caporalato nel settore delle consegne a domicilio, ma che ha spaccato l'aula consiliare e aperto un fronte giuridico di prim'ordine. Al centro dello scontro, una domanda cruciale: quel tesserino, modellato sulle autorizzazioni per i lavoratori autonomi come i tassisti, finisce per riconoscere i fattorini come autonomi in senso stretto, scivolando su un terreno minato dopo le ultime pronunce della Corte di Cassazione?
Nella seduta che ha dato il via libera all'articolo 65 bis del regolamento di polizia urbana, il Partito Democratico – attraverso il consigliere Emidio Gubbiotti, avvocato specializzato in diritto del lavoro – ha lanciato un monito circostanziato e chiesto, senza successo, la sospensione della delibera. Il riferimento è alla recentissima sentenza n. 28772 del 31 ottobre 2025, con cui le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno ribadito in modo perentorio un principio: i rider, quando la loro attività è etero-organizzata dalle piattaforme digitali, vanno trattati a tutti gli effetti come lavoratori subordinati. In questo quadro, l'esperimento ternano rischia, secondo il PD, di risultare fuorviante e di spostare l'attenzione dalle tutele fondamentali di una platea di lavoratori fragili verso una sperimentazione amministrativa potenzialmente in contrasto con i principi del diritto.
La misura, voluta dall'assessore allo Sviluppo Economico Sergio Cardinali, prevede il rilascio di un badge identificativo con foto, numero di protocollo e QR code, necessario per operare sul territorio comunale. Un modello che richiama esplicitamente quello in vigore per altre categorie di autonomi. È proprio questa analogia a suscitare le critiche più dure. Emidio Gubbiotti contesta alla radice l'impostazione, sostenendo che assimilare i rider a lavoratori autonomi "speciali" sia un errore concettuale e giuridico.
"Pur nella consapevolezza che si tratta di una iniziativa sperimentale, lo strumento non va nella direzione della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori addetti alla consegna diretta", ha dichiarato Gubbiotti in aula. "Abbiamo evidenziato che un’ultima recentissima importante sentenza della Cassazione ribadisce come i riders vadano considerati a tutti gli effetti lavoratori subordinati, seppure caratterizzati da atipiche mansioni. E per questi motivi non possono essere equiparati, in una sorta di censimento identificativo con tesserino, a lavoratori autonomi in senso stretto".
Il richiamo non è formale. La sentenza citata, infatti, non si limita a riconoscere il rapporto di subordinazione, ma stabilisce l'applicazione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del Terziario, distribuzione e servizi per i rider di una specifica piattaforma, con un inquadramento contrattuale analogo a quello dei dipendenti. Un principio che, esteso, potrebbe rendere evanescente la figura del rider come autonomo puro, sulla quale invece il regolamento di Terni sembra costruirsi.
La maggioranza, guidata dal sindaco Stefano Bandecchi, ha rivendicato il "primato" di Terni in questa sperimentazione, vista come una risposta concreta al bisogno di regolamentare un settore spesso caratterizzato da opacità. Tuttavia, per il Pd, si tratta di un primato pericoloso. "Pensiamo che l’attenzione a favore di queste nuove forme di lavoro debba andare nella direzione della loro tutela, della loro sicurezza e della loro formazione", ha aggiunto Gubbiotti. "Vanno evitate logiche sperimentali che possano contrastare con i primari principi del diritto".
L'avvocato consigliere segnala con chiarezza i rischi di un eventuale contenzioso. Un regolamento comunale che tratta i rider come autonomi dotati di tesserino potrebbe infatti essere esposto a un'impugnazione davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (Tar), proprio per contrasto con l'orientamento ormai consolidato della Cassazione sulle collaborazioni etero-organizzate. "A nostro giudizio il Comune sta avviando un percorso potenzialmente illegittimo", è l'accusa diretta. Gubbiotti sostiene di aver chiesto, invano, almeno una sospensione del provvedimento per "approfondire i profili giuridici, valutare la giurisprudenza di legittimità e attendere le indicazioni delle organizzazioni nazionali di categoria".
L'alternativa proposta dall'opposizione sarebbe stata quella di concentrare le energie dell'amministrazione "sulla istituzione di centri di raccolta e sostegno e sulla concertazione con tutte le forze sindacali, in attesa dei necessari interventi normativi" nazionali. Una strada che, a loro avviso, avrebbe evitato di caricare i lavoratori di ulteriori oneri burocratici e di creare un potenziale conflitto con la giurisprudenza di legittimità.