Un nuovo indirizzo, da condividere. Una stanza in cui non sentire più il peso del silenzio. Una cucina dove apparecchiare la tavola per qualcuno che non sia solo tuo figlio. A Terni l’emergenza abitativa e la solitudine si affrontano con un esperimento di comunità: il Comune trasforma tre suoi appartamenti liberi in case di co-housing dedicate ad anziani autosufficienti che vivono soli e a donne sole, anche con bambini. Il progetto si chiama “Insieme per l’abitare” e punta a essere un’alternativa all’isolamento, un primo passo verso un modello strutturato di accoglienza temporanea che mette al centro le relazioni. “Una risposta al bisogno di casa e di autonomia”, sintetizza l’assessore al Welfare, Viviana Altamura. Una risposta che vale 97mila euro e che per un anno proverà a scrivere una pagina diversa di welfare urbano.
L’iniziativa, finanziata dal Fondo nazionale politiche sociali, non è un semplice affitto agevolato. È un disegno con due anime precise, pensato per far incontrare fragilità diverse ma che possono sostenersi. La regia operativa è della Zona Sociale n. 10, che selezionerà gli ospiti tra le persone già in carico ai servizi e in seria difficoltà ad accedere al mercato privato degli affitti.
Il primo modulo prevede l’accoglienza condivisa tra donne anziane sole e donne sole, anche con figli minori. Un abbinamento che guarda alla complementarietà dei bisogni: l’esperienza e il bisogno di compagnia delle prime, la necessità di un ambiente protetto e di possibili sostegni quotidiani per le seconde. In questo caso potranno essere inserite massimo sette persone.
Parallelamente, viene attivato un percorso dedicato a uomini anziani soli e autosufficienti, una categoria particolarmente esposta al rischio di isolamento. Per loro la capienza è di massimo tre persone. Gli appartamenti non saranno semplici alloggi, ma spazi da vivere insieme, con il supporto costante di operatori qualificati. La durata della permanenza è fissata in un anno, tempo concepito non solo come soluzione abitativa d’emergenza, ma come un percorso per ritrovare stabilità e costruire legami.
Il luogo scelto per far decollare il progetto è il quartiere di Borgo Rivo, in via del Mandorlo 15/A. Qui il Comune metterà a disposizione tre appartamenti di sua proprietà, attualmente vuoti. Prima di aprire le porte, gli immobili avranno bisogno di un intervento significativo. Dei 97.000 euro stanziati, ben 60.000 sono infatti destinati ai lavori di adeguamento, allestimento e arredo. L’obiettivo è chiaro: creare ambienti domestici, funzionali e accoglienti, che facilitino la condivisione senza annullare gli spazi personali.
I rimanenti 37.000 euro copriranno i costi di gestione annuale: dal personale educativo e di supporto alla biancheria, dalle stoviglie agli alimenti e ai materiali di consumo. Una cifra che racconta la natura del servizio, che non si limita alla consegna delle chiavi di casa, ma offre un contesto protetto e accompagnato.
“Con ‘Insieme per l’abitare’ compiamo un passo importante nella costruzione di una città più attenta, solidale e capace di rispondere ai bisogni reali della sua comunità”, esordisce l’assessore Viviana Altamura. Il progetto nasce dall’osservazione di due fenomeni in crescita: l’aumento degli anziani che vivono in solitudine, spesso privi di una rete familiare, e il numero di donne – talvolta con figli piccoli – che si trovano da un giorno all’altro senza un’abitazione sicura.
“Il co-housing sociale è una risposta a entrambe le esigenze”, spiega. “Non è solo una soluzione abitativa temporanea. È un modello che promuove la condivisione, la vicinanza e il sostegno reciproco. L’idea è quella di trasformare tre appartamenti comunali in luoghi vivi, capaci di creare relazioni e di prevenire l’isolamento sociale”.
Il senso profondo dell’operazione, secondo Altamura, sta proprio in questa scommessa sulle relazioni. “Il co-housing permette di mettere in contatto persone che hanno bisogni diversi ma complementari, offrendo loro un contesto sicuro, accompagnato da professionisti, in cui ritrovare stabilità, fiducia e prospettive”. Un esperimento che Terni guarda come a un possibile seme: far crescere, tra le mura di case di proprietà pubblica, un nuovo modo di intendere l’accoglienza e la lotta alla solitudine.