20 Feb, 2025 - 16:54

SuperEnalotto da 65 milioni: escluso dalla vincita, ma per la Corte d’Appello non ci sono prove sufficienti

SuperEnalotto da 65 milioni: escluso dalla vincita, ma per la Corte d’Appello non ci sono prove sufficienti

Il colpo di fortuna che il 22 settembre 2011 portò una vincita stratosferica di 65.038.202,39 euro al SuperEnalotto ha lasciato dietro di sé una lunga scia giudiziaria, arrivata fino alla Corte d’Appello di Perugia. Il caso riguarda un giocatore che, da oltre un decennio, rivendicava il diritto a una quota della vincita, sostenendo di aver partecipato al sistema vincente giocato al Bar Europa di via Matteotti.

Secondo la sua versione, la sera precedente all’estrazione aveva consegnato 10 euro alla cassiera, credendo di acquistare una delle 100 quote del sistema, ma il denaro sarebbe stato invece registrato come pagamento di una consumazione.

Dopo un lungo iter giudiziario, la Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado, escludendo il diritto del giocatoree – nel frattempo deceduto – a una parte della vincita e condannando gli eredi al pagamento delle spese processuali.

Nel settembre 2011, un sistema da 1000 quote da 4 euro centrò la vincita

Tutto inizia nel settembre 2011, quando un sistema da 100 quote da 4 euro ciascuna centrò l’estrazione milionaria, regalando ai partecipanti una fortuna inaspettata.

Un uomo, rimasto escluso dalla ripartizione, si rivolse al Tribunale Civile di Perugia sostenendo di aver acquistato una quota del sistema vincente e di averne diritto. L’errore, a suo dire, sarebbe nato da un fraintendimento con la cassiera del bar, che avrebbe registrato i 10 euro consegnati non come pagamento per il sistema di gioco, ma per una consumazione.

L’uomo citò in giudizio gli altri 90 partecipanti alla giocata vincente, chiedendo di essere riconosciuto come avente diritto alla sua quota del montepremi.

Il tribunale di primo grado, tuttavia, respinse la richiesta, ritenendo che non vi fossero prove sufficienti a dimostrare la sua partecipazione al sistema vincente.

Dopo la sua morte, gli eredi decisero di proseguire la battaglia legale, sostenendo che la sentenza fosse viziata da un errore di valutazione delle prove.

Anche la Corte d’Appello di Perugia, però, ha confermato la decisione di primo grado, stabilendo che non esistono elementi probatori univoci per dimostrare la partecipazione del giocatore alla giocata vincente.

Secondo la sentenza, non è sufficiente la testimonianza di alcune persone che affermano di aver visto l’uomo consegnare 10 euro alla cassiera.

Per i giudici manca qualsiasi riscontro documentale sull'effettiva partecipazione del giocatore

I giudici sottolineano tre aspetti fondamentali:

Mancanza di un riscontro documentale: nessuna ricevuta o fotocopia del sistema è stata presentata per dimostrare l’effettiva partecipazione del giocatore alla giocata vincente.
Alcuni testimoni hanno confermato che il bar solitamente rilasciava una ricevuta o una fotocopia con i numeri giocati e il timbro della ricevitoria, ma l’uomo non ne aveva alcuna.
Ambiguità sulla destinazione dei 10 euro: i testimoni non sono stati in grado di affermare con certezza se la somma fosse stata consegnata per la giocata o per una consumazione.
Lo stesso bar gestiva due sistemi di gioco distinti: uno rosso e uno blu (quello vincente). Anche se si fosse dimostrato che il giocatore avesse dato 10 euro per il sistema, non sarebbe possibile stabilire a quale dei due avesse aderito.
Assenza di una partecipazione continuativa al sistema: nessuna prova ha dimostrato che il giocatore fosse un partecipante abituale al sistema del bar.
Un solo testimone ha ricordato che, nel 2001, l’uomo gli avrebbe parlato di un pagamento con assegno per una quota, ma si tratta di un episodio risalente a dieci anni prima della vincita e senza alcun collegamento con il sistema vincente del 2011.
Per questi motivi, i giudici hanno concluso che il "fatto noto" (la consegna del denaro alla cassiera) non è sufficiente per trarre una conclusione inequivocabile sulla partecipazione alla giocata vincente.

La Corte d’Appello ha ribadito che la prova presuntiva può essere accolta solo in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti. In questo caso, però, mancano elementi chiari e univoci che possano confermare la tesi dei ricorrenti.

Gli eredi del giocatore nel frattempo deceduto sono stai condannati al pagamento della spese processuali

Di conseguenza, la sentenza di primo grado è stata confermata e gli eredi del giocatore sono stati condannati al pagamento delle spese processuali.

Questa decisione mette la parola fine a una battaglia legale durata oltre un decennio, che ha visto contrapposti i vincitori del sistema e l’uomo (poi i suoi eredi) che reclamava il diritto alla sua parte.

Il caso ha suscitato grande interesse, sia per l’importanza della somma in palio, sia per il principio giuridico ribadito dalla sentenza.

Gli avvocati della difesa, Edoardo Maglio e Paola Caruba, hanno espresso soddisfazione per la decisione della Corte, sottolineando che "la mancanza di prove concrete ha reso impossibile accogliere la richiesta".

Dall’altra parte, gli avvocati degli eredi, Fabio Antonioli e Maurizio Lorenzini, hanno manifestato rammarico, sostenendo che "l’applicazione rigida delle regole probatorie ha impedito di riconoscere un diritto che avrebbe potuto essere fondato".

Questa vicenda giudiziaria dimostra l’importanza delle prove concrete nelle cause civili, specialmente quando si tratta di diritti su somme ingenti di denaro.

Senza una ricevuta, un documento o una prova inequivocabile, non basta la sola parola di un testimone per reclamare una quota di una vincita milionaria.

Dopo oltre dodici anni, il caso può dirsi definitivamente chiuso: il SuperEnalotto ha cambiato la vita di 90 persone, ma non di chi ha tentato – senza successo – di dimostrare di averne diritto.

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Mario Farneti
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