Il magistrato Fabio Gianfilippi del Tribunale di Sorveglianza di Spoleto ha disposto la revoca della semilibertà a Gilberto Cavallini, 73enne ex militante dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), condannato in via definitiva all’ergastolo per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. La decisione accoglie la richiesta della Procura generale di Bologna dopo che la Corte d’Assise d’Appello bolognese ha rideterminato la pena di isolamento diurno a tre anni (un anno in più rispetto alla sentenza precedente). Gianfilippi ha motivato la revoca sottolineando che tale isolamento, ancora da scontare, è “incompatibile con il regime di semilibertà”. In pratica, Cavallini dovrà interrompere il regime aperto presso il carcere di Terni e tornare a scontare la pena in carcere a tempo pieno.
La semilibertà era stata concessa a Cavallini nel marzo 2017 dopo oltre trent’anni di detenzione, ma già nei mesi scorsi la Corte d’Appello di Bologna aveva disposto un aumento del periodo di isolamento diurno da scontare. In particolare, gli appelli avevano stabilito che i tre anni complessivi di isolamento devono considerarsi ancora pendenti. Sulla base di questo nuovo scenario, il tribunale di sorveglianza ha ritenuto doveroso eliminare il beneficio carcerario: la Procura generale aveva infatti richiesto che, alla luce dell’ultima condanna all’ergastolo confermata, Cavallini scontasse compiutamente ogni pena accessoria.
Secondo il dispositivo del giudice Gianfilippi, la misura alternativa della semilibertà non è applicabile quando permangono periodi di isolamento da eseguire. In questo modo, il Tribunale di Spoleto ha dato esecuzione all’ordine di carcerazione già previsto nei provvedimenti della Procura di Bologna e del Tribunale di Perugia, ribadendo che “spetta al Tribunale di Sorveglianza” ogni decisione sull’eventuale mantenimento del regime.
Gilberto Cavallini è un ex terrorista milanese, appartenente ai NAR, gruppo di estrema destra responsabile di numerosi attentati negli anni di piombo. Per la strage di Bologna, Cavallini è stato individuato come l’“uomo di logistica” degli attentatori: secondo l’accusa, avrebbe ospitato in casa la cellula e fornito mezzi e documenti falsi in preparazione dell’attentato. In primo grado (gennaio 2020) e in appello Cavallini era già stato condannato all’ergastolo.
Il 15 gennaio 2025 la Cassazione ha confermato la condanna a vita, definendolo partecipante apicale alla “preparazione dell’evento” e resistente alla giustizia. Cavallini è detenuto dal 1983; nel corso degli anni ha ricevuto oltre venti sentenze di condanna, arrivando complessivamente a otto ergastoli da scontare. Dalla primavera 2017 era affidato al regime di semilibertà nel carcere di Terni, rientrando in cella solo per dormire. Il nuovo provvedimento impone ora la sospensione di questo beneficio, facendo tornare l’ex terrorista nel regime carcerario ordinario.
Alle 10:25 del 2 agosto 1980 un ordigno esplose nella sala d’aspetto della seconda classe della stazione di Bologna, seminando morte e terrore. L’immagine dell’orologio fermo alle 10:25 è diventata simbolo di quella tragedia.
L’esplosione devastò l’ala occidentale dell’edificio: 85 persone vennero uccise e oltre 200 rimasero ferite. L’attentato, attribuito a terroristi neofascisti, resta il più grave mai avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra. Nei lunghi processi successivi, i magistrati hanno sottolineato la matrice politica del massacro: la Corte d’Assise di Bologna ha definito la strage una “strage di Stato”, richiamando i depistaggi e i legami fra i Nar, la loggia massonica P2 e settori deviati dei servizi segreti.
Per le famiglie delle vittime, ogni nuova decisione giudiziaria riapre antiche ferite, e il caso di Cavallini non fa eccezione: da un lato è vista come un atto dovuto di rigore, dall’altro riporta l’attenzione sulla lunga storia di battaglie giudiziarie per ottenere giustizia e verità.