L’incidente di ieri sulla SS 219, costato la vita al 28enne Matteo Panfili, ha riaperto una ferita che qui non si rimargina. Abbiamo incontrato i tre volti dell’associazione “Andrea Morganti” per la sicurezza stradale per una chiacchierata schietta e senza formalismi.
Sono intervenuti Ubaldo Morganti, presidente, Massimo Pannacci, vicepresidente, e l’avvocato Fabio Antonioli, tesoriere e consulente legale.
La prima domanda è inevitabile: cosa si prova ogni volta che accade una tragedia annunciata come quella di ieri?
Risponde Ubaldo Morganti con voce rotta dall'emozione: “Ogni volta è un colpo al cuore. A me ricorda la tragedia di mio fratello Andrea, da cui nasce questa associazione. Quando muore un ragazzo di 28 anni come Matteo, che non torna a casa la sera, il dolore è ancora più forte. Sono immagini che non si cancellano. Ogni volta che succede, rivivo tutto da capo.”
Fabio Antonioli annuisce: “Il problema è che si continua a morire su una strada di cui da anni segnaliamo la pericolosità. Servono interventi rapidi. Non basta dire che i limiti di velocità ci sono: vanno rispettati. E per farli rispettare servono più controlli, sia con le forze dell’ordine, sia con strumenti come tutor e autovelox. La gente deve sentirsi osservata, altrimenti continua a fare di testa propria.”
Quali sono i tratti più pericolosi? Risponde Massimo Pannacci:
“I numeri parlano chiaro: il tratto più critico è quello tra Gubbio Est e Branca. Ci sono tanti innesti, molto traffico e solo due corsie. Questo porta spesso a scontri frontali, i più devastanti. Se la strada fosse a quattro corsie, magari ci sarebbero più tamponamenti, ma sarebbero meno gravi. Purtroppo oggi il rischio è altissimo.”
Morganti precisa: “Dal 2005 a oggi siamo già al 26esimo incidente mortale su questa statale. Per un territorio come il nostro è un numero impressionante. La Pian d’Assino, nata per sostituire quella che chiamavamo la ‘strada della morte’, è diventata la strada della morte 2.0.”
Alla domanda se si tratti di un errore di progettazione o di scarsa manutenzione, Antonioli è netto:
“Il problema non è tanto la progettazione. All’inizio la strada aveva una sua logica. Ma non si è tenuto conto dell’aumento del traffico, specialmente dopo l’apertura della Perugia-Ancona e con i futuri collegamenti verso la E45. La strada è rimasta quella di vent’anni fa, ma il volume dei veicoli è triplicato.”
Pannacci aggiunge: “E non parliamo solo di quantità, ma anche di qualità del traffico. Le auto di oggi sono molto più potenti e pesanti. Un’utilitaria moderna pesa il doppio di una macchina degli anni ‘70. E in più ti danno la sensazione di avere tutto sotto controllo: poi basta un attimo e non freni più. Mettere in mano queste auto a ragazzi inesperti è rischiosissimo.”
Morganti è chiaro: “Ridurre i limiti non serve se nessuno li rispetta. Il problema è che gli incidenti non sono quasi mai dovuti a guasti meccanici, ma a scontri tra chi non rispetta le regole. È anarchia. Finché non ci sarà una vera percezione del controllo, non cambierà niente.”
E Antonioli rincara: “Bisogna distinguere tra incidente e scontro. L’incidente è quando ti si rompe una gomma, lo scontro è quando qualcuno decide di superare in curva o correre troppo. Quello che vediamo qui sono scontri, figli di comportamenti pericolosi.”
Parlare di sicurezza stradale per Ubaldo Morganti significa sempre tornare al fratello Andrea, vittima di un incidente proprio su quella strada maledetta:
“Ogni volta che percorro quella strada mi torna tutto in mente. Non credo passerà mai. È una ferita che resta aperta. E quando vedi tragedie come quella di Matteo, pensi subito ai genitori, al dolore immenso che stanno vivendo. È un trauma che ti segna per sempre.”
Ma c’è una responsabilità delle istituzioni?
Antonioli risponde con equilibrio: “Più che cercare colpe sul passato, dobbiamo pretendere che si agisca adesso. Bisogna migliorare la strada, potenziare i controlli, usare strumenti tecnologici che siano davvero efficaci. Non servono proclami, servono fatti.”
Pannacci aggiunge: “E serve chiarezza sulle competenze. Non ha senso prendersela col Comune o con i vigili urbani se la gestione è dell’Anas. Il problema va affrontato tutti insieme, senza scaricare le colpe.”
Che strumenti ha l’associazione per incidere?
Morganti sorride amaramente: “Il nostro strumento è dare fastidio. Continuare a parlare, a denunciare, a insistere. E crescere come gruppo: tante persone che hanno avuto incidenti ci stanno contattando e vogliono unirsi a noi. È così che si costruisce pressione.”
Antonioli spiega: “Abbiamo scelto di puntare molto sulle scuole. Porteremo i ragazzi a confrontarsi con esperti e con la Polizia di Stato. Mostreremo con strumenti pratici cosa succede con alcol e droga alla guida. Devono capire che non è un videogioco: quando sbatti, non ricominci da capo.”
Il discorso si allarga anche agli adulti. Pannacci lancia una proposta: “Quando si rinnova la patente, non basta controllare la vista. Servirebbe rifare un mini-esame di teoria, per verificare se chi guida ricorda ancora le regole di base. Io sono convinto che tanti, anche della mia età, non lo supererebbero.”
L’intervista si chiude con una riflessione corale.
Morganti: “Il timore è che domani possa toccare a un nostro familiare. Non possiamo rassegnarci.”
Antonioli: “La sicurezza stradale deve essere sentita da tutti, non solo da chi ha già perso qualcuno.”
Pannacci: “Solo se ci sarà una responsabilizzazione collettiva potremo davvero cambiare le cose.”
Da parte nostra ci auguriamo che questo annoso problema, che ha già portato troppi lutti e un doloroso sciame di feriti, venga finalmente affrontato con serietà e con le giuste misure dalle autorità competenti. Perché Gubbio non è una città di serie B: merita rispetto, sicurezza e attenzione.