La storia della Sagemcom di Città di Castello arriva al capolinea, tra carte firmate e tanti interrogativi. L’accordo tra sindacati e azienda decreta la chiusura definitiva della produzione entro luglio, mettendo sulla graticola 37 lavoratori tra operai e impiegati. Qualcuno sarà riassorbito in aziende limitrofe, gli altri dovranno accontentarsi di ammortizzatori sociali e incentivi all’esodo. La decisione della multinazionale francese di spegnere le macchine ha scatenato proteste: per il sindacato, il problema non è una crisi aziendale, ma una scelta mirata a spostare il lavoro altrove, con l'Umbria che ne esce ancora una volta con le ossa rotte. In consiglio comunale, il sindaco Luca Secondi ha illustrato la situazione con la diplomazia del caso, cercando di barcamenarsi tra il rispetto dell'autonomia sindacale e la necessità di non lasciare i lavoratori in balia delle onde.
Durante il consiglio comunale, il sindaco di Città di Castello, Luca Secondi, ha aggiornato l’assemblea sull’epilogo della vicenda Sagemcom. La trattativa tra sindacati e azienda ha prodotto un accordo che coinvolge 40 dipendenti, mettendo nero su bianco la fine di un capitolo industriale per la città.
Secondi ha voluto rimarcare che il dialogo tra le parti è stato lasciato completamente nelle mani dei rappresentanti dei lavoratori, senza intrusioni politiche. "Forse non era l’accordo che avrei auspicato, ma abbiamo lasciato piena autonomia alla delegazione trattante per non creare pressione o generare un’interferenza magari scomposta della politica", ha commentato il primo cittadino, quasi a volersi smarcare da ogni responsabilità diretta sulla chiusura dello stabilimento.
L'accordo, passato con il voto favorevole della maggioranza dei dipendenti, fissa le condizioni per gestire lo smantellamento della produzione. Alcuni lavoratori troveranno posto in una realtà produttiva della zona che resterà in funzione, mentre per gli altri si aprirà il capitolo degli ammortizzatori sociali e delle misure di sostegno previste dalla legge.
Secondi ha illustrato i dettagli dell'intesa: "L'intesa è stata votata a maggioranza dalle maestranze dell'azienda e prevede una dismissione dell'attività produttiva, una parziale rioccupazione degli addetti in un'azienda limitrofa che resterà operativa e, al di là degli strumenti di welfare che la legge prevede, quindi la Naspi che si attiva per due anni, ci saranno un licenziamento dei dipendenti posticipato a luglio e un bonus di liquidazione che è stato concordato tra le parti". In altre parole, la fine dell'attività è solo questione di tempo, con la promessa di qualche aiuto per chi resta fuori dai giochi.
Il 31 luglio calerà il sipario sulla produzione nello stabilimento di Città di Castello, lasciando la multinazionale francese libera di svuotare i capannoni e abbandonare il territorio. La chiusura, annunciata già a gennaio, ha scatenato tensioni e portato all'attivazione della procedura di licenziamento collettivo, che metterà sulla strada 37 dipendenti, tra operai e impiegati.
L'accordo siglato il 17 febbraio concede qualche margine di manovra: ammortizzatori sociali, incentivi per chi accetta di andarsene di propria iniziativa e corsi di formazione pagati per tentare un rientro nel mercato del lavoro. Un terzo dei dipendenti potrebbe trovare spazio in altre aziende del territorio, compreso un impianto della ex Sacofgas che ancora tiene duro. Ma per molti il futuro resta un punto interrogativo scritto a caratteri cubitali..
La chiusura della fabbrica ha acceso un dibattito infuocato, con i lavoratori che si sono trovati davanti a più ombre che certezze. L'accordo firmato ha lasciato in molti il timore che si tratti solo di una toppa temporanea prima di un crollo definitivo dell’occupazione.
Il segretario generale della Fiom Cgil Perugia, Marco Bizzarri, ha criticato senza mezzi termini la decisione di chiudere lo stabilimento, sottolineando: "Si chiude un'azienda che fabbricava prodotti di qualità, misuratori del gas di alta precisione che hanno mercato, con personale qualificato. Non c'era alcuna crisi aziendale, bensì la volontà di chiudere un sito in questo lembo di Umbria, impoverendo il tessuto economico". Secondo i rappresentanti dei lavoratori, più che una crisi, dietro questa operazione ci sarebbe un trasferimento della produzione all’estero, con la Tunisia come destinazione prescelta.
La trattativa è stata una corsa contro il tempo, visto che il termine ultimo per chiudere un accordo e accedere alle misure di sostegno scadeva il 21 febbraio. Una partita giocata con il fiato corto e con la sensazione di avere pochissime carte vincenti in mano.