La sostenibilità in Umbria si fa sul serio. A dimostrarlo sono i dati dell'ultimo rapporto 'GreenItaly' elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere. Attualmente nel cuore - sempre più - verde d'Italia sono 8.390 le imprese con dipendenti hanno investito in prodotti, tecnologie e processi green, rispetto alle 7.271 del quinquennio precedente. Una crescita netta e costante che dimostra un sostanziale cambio di paradigma: la green economy non è solamente una scelta etica ma si configura sempre più come leva produttiva e di sviluppo.
I numeri parlano chiaro, a crescere è anche la fetta dei lavoratori del settore che tra 2023 e 2024 in Umbria sono arrivati a quota 22.680. Anche la domanda è crescente per profili come tecnici energetici, installatori, progettisti ambientali, ingegneri di efficienza, profili legati a riciclo materiali, bioeconomia e digitalizzazione industriale.
Se la crescita dà segnali incoraggianti, rimangono tuttavia delle criticità. a partire dalle dimensioni. La maggior parte delle imprese green umbre sono infatti piccole o micro e spesso faticano ad accedere e a scommettere sulle tecnologie più innovative.
L'altro problema riguarda le competenze dei profili richiesti, molto elevate e ancora non adeguatamente distribuite sul territorio. Parallelamente, sul fronte degli investimenti, è stata evidenziata una discontinuità sugli incentivi: intermittenti, a sportello e con finestre brevi.
Se le criticità ci sono, è altrettanto vero che l'Umbria presenta un dinamismo che brilla nel panorama italiano, unendo diversità settoriale e compattezza geografica. Come si traduce tutto ciò in economia? Le filiere sono corte, i passaggi tra comparti più rapidi, la capacità di integrare settori diversi come agroalimentare, manifattura, artigianato ed edilizia avviene con naturalezza. Vantaggi notevoli che possono attrarre ulteriori investimenti anche da fuori.
"I dati - ha commentato Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di commercio dell'Umbria - dimostrano che la regione sta avanzando con concretezza sul terreno della sostenibilità: 8.390 imprese che hanno investito e oltre 22mila addetti coinvolti indicano una transizione che non è più solo prospettiva, ma realtà in corso".
Mencaroni ha evidenziato che la doppia transizione, digitale ed ecologica, è il cuore della crescita e su questo annuncia che si continuerà ad investire "con iniziative, servizi e accompagnamento alle aziende. Un numero crescente di imprese sta facendo la propria parte, con scelte che migliorano i processi e rafforzano la competitività. Il compito delle istituzioni economiche è sostenere e facilitare questo movimento con formazione tecnica, autorizzazioni più rapide, strumenti stabili e reti d'impresa che permettano di crescere insieme. L'Umbria - ha concluso - ha le qualità per consolidare questo percorso e renderlo strutturale: continuità, collaborazione e visione saranno gli elementi determinanti per trasformare l'attuale dinamica in vantaggio duraturo per tutto il territorio".
Guardando al quadro generale italiano, secondo la ricerca GreenItaly nel quinquennio 2019-2024 sono state 578.450 le imprese extra-agricole che hanno investito nell'economia green, pari al 38,7% del totale ovvero più di 1 impresa su 3. Crescono anche i green jobs che nel 2024 hanno fatto segnare un + 4,3% (135mila adetti in più) rispetto al 2023, con una quota sul totale degli occupati pari al 13,8%.
La crescita tuttavia non è uniforme e presenta marcate differenze geografiche. Il Nord-Ovest svetta con il 32,8% del totale nazionale seguito dal Nord-Est (23,6%), dal Mezzogiorno (23,1%) ed infine dal Centro (20,5%), l'unica area, quest’ultima, a segnare una flessione, seppur lieve, di lavoratori verdi rispetto all’anno precedente (-0,5%; +6,2% per il Nord-Ovest ed il Sud e Isole; +4,0% per il Nord-Est).
Il settore che traina la green economy italiana è il recupero di materia. Secondo Eurostat, la capacità del Paese nell’avvio a riciclo dei rifiuti totali sia urbani che speciali, ha raggiunto il 92,6% (2023). Un dato notevolmente superiore ad altri Paesi europei come ad esempio la Francia (81,5%), la Germania e la Spagna (75,5%), nettamente meglio anche della media UE che si aggira sul 60%.