È una storia che brucia ancora oggi, un grido che attraversa più di un secolo e arriva con tutta la sua potenza nel cuore della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una storia che la Provincia di Terni, attraverso il Cug (Comitato unico di garanzia), ha scelto di riportare alla luce per ricordare alle istituzioni, ai cittadini e alla società che nessuna conquista è definitiva, e che dietro ogni passo avanti c’è il coraggio di chi ha saputo rompere un silenzio imposto. Il nome che torna è quello di Sibilla Aleramo: una donna, una scrittrice, un simbolo del sopruso e della resistenza femminile.
Nata a Milano nel 1876, morta a Roma nel 1960, Marta Felicina Faccio - che il mondo avrebbe poi conosciuto come Sibilla Aleramo - non è soltanto un personaggio letterario del primo Novecento, ma un faro nel mare ancora agitato dei diritti delle donne. La sua vita tormentata, segnata da una violenza feroce e da un destino che altri avevano scelto per lei, è un monito ancora attualissimo in un’Italia che, seppure cambiata, porta ancora le cicatrici della cultura del silenzio.
La Provincia di Terni, in occasione del 25 novembre, la ricorda come esempio di coraggio e autodeterminazione. E lo fa partendo da quel romanzo che l’ha resa immortale: Una donna, pubblicato nel 1906, un’opera che non fu solo letteratura, ma un gesto politico, un’apertura di varchi in un Paese che pretendeva dalle donne obbedienza e invisibilità.
La biografia di Sibilla Aleramo è anche più dura e devastante del romanzo che ne narra gli eventi. A 15 anni, giovanissima operaia, subì una violenza sul posto di lavoro. A 16 venne costretta a sposare proprio quell’uomo che l’aveva violata: un destino imposto, giustificato dalla società come “matrimonio riparatore”.
“Sposare il suo violentatore. Sibilla non ebbe scelta, non ebbe voce, nessuna difesa.” Le parole che la Provincia di Terni ricorda sono un pugno nello stomaco. La società la condannò due volte: prima lasciandola sola, poi imponendole una vita che non aveva scelto. Il padre, la famiglia, la comunità: tutti avevano rimosso la sua sofferenza. Lei no. Lei trasformò la ferita in parola, e proprio da quella prigionia prese forma la sua resistenza.
Marta-Sibilla non si piegò. Iniziò a scrivere, prima in segreto, poi con una determinazione che diventò forza capace di attraversare il Paese. Nel 1906, quando uscì Una donna, la società italiana non era pronta ad ascoltare la verità feroce di una donna che parlava di violenza, matrimonio coatto, solitudine e fuga come atto necessario di sopravvivenza.
Il romanzo non fu solo un racconto autobiografico: fu un’accusa aperta contro un modello culturale che negava alle donne ogni possibilità di autodeterminazione. Una confessione dirompente, un atto politico, un grido che ha contribuito a cambiare la narrazione sulla violenza di genere.
La sua testimonianza, come ricorda la Provincia di Terni, continua a essere un punto fermo: non è un semplice ricordo storico, ma un monito per comprendere quanto la cultura della violenza e del silenzio sia ancora radicata.
Che il cambiamento sia in corso lo dimostra anche un passaggio legislativo recente. Il 19 novembre, pochi giorni prima della ricorrenza del 25 novembre, la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità la proposta di legge che modifica l’articolo 609-bis del codice penale, introducendo un principio fondamentale: il consenso deve essere “libero e attuale”. In mancanza di questo, si configura il reato di violenza sessuale.
Due parole - libero e attuale - che rispecchiano i pilastri della Convenzione di Istanbul, documento vincolante per il contrasto alla violenza contro le donne e quella domestica. Questo passo normativo è anche un riconoscimento del percorso tracciato da donne come Sibilla Aleramo, che con la loro voce hanno aperto strade dove prima esistevano soltanto divieti e silenzi.
Il ricordo della Provincia di Terni invita così a riflettere su quanta strada sia stata fatta e quanta ancora resti da percorrere. Perché la storia di Sibilla non è confinata nei libri di scuola: parla alle donne di oggi, alle ragazze che vivono contesti difficili, alle vittime che non hanno ancora la possibilità di denunciare. Il 25 novembre diventa quindi un impegno collettivo, un patto con la memoria: ricordare una donna che ha trasformato il dolore in parola e la parola in libertà.