Sono trascorsi quasi nove anni da quel 18 gennaio 2017, quando a Rigopiano, località montana del comune di Farindola, in Abruzzo, una valanga di proporzioni eccezionali travolse l’hotel Rigopiano – Gran Sasso Resort, causando la morte di ventinove persone. Una tragedia rimasta impressa nella memoria del Paese, non soltanto per la devastazione lasciata dalla massa di neve e detriti, ma anche per le domande rimaste irrisolte, per le responsabilità non chiarite e per quel senso di abbandono che i familiari delle vittime denunciano da anni.
Oggi il processo che si sta svolgendo davanti alla Corte d’Appello di Perugia è arrivato alle battute finali. Un percorso lungo e tortuoso, segnato da sentenze contestate, ricorsi, ribaltamenti e speranze più volte disattese. Tra le voci più attente e coinvolte c’è quella di Marcello Martella, segretario del comitato Vittime di Rigopiano e padre di Cecilia, una delle ragazze morte sotto le macerie dell’hotel. Martella, intervistato dall’ANSA, ha affidato alle parole il peso di un’attesa ormai infinita.
"Non ci aspettiamo miracoli ma dopo nove anni abbiamo ancora la speranza che la morte dei nostri cari non venga trattata come un incidente senza responsabilità. Non ce li restituirà nessuno, ma almeno il loro ricordo merita verità e giustizia", ha dichiarato. Parole che condensano la frustrazione e allo stesso tempo la determinazione di chi continua a percorrere l’Italia per assistere alle udienze, per non lasciare che la memoria delle vittime si dissolva.
Martella ha poi aggiunto: "Siamo ormai alle battute finali di questo ennesimo processo e speriamo che, dopo quasi nove anni, arrivi finalmente un briciolo di giustizia. Da Pescara a L'Aquila, da Roma fino a Perugia, sono anni che giriamo per l'Italia inseguendo la verità. Abbiamo assistito a sentenze che per noi sono state delle buffonate, ma non abbiamo mai smesso di cercare responsabilità chiare".
Una dichiarazione durissima, che riflette un rapporto logorato con la giustizia, e allo stesso tempo un bisogno profondo di riconoscimento istituzionale.
Una delle novità principali dell’appello è il ritorno nel perimetro accusatorio di sei funzionari regionali, reinseriti dopo la decisione della Corte di Cassazione dello scorso dicembre. Un passaggio ritenuto fondamentale dai familiari delle vittime. "È importante che siano stati rimessi - ha spiegato Martella - perché in precedenza erano stati esclusi. Ora speriamo che vengano giudicati per ciò che hanno fatto".
Sul fronte delle richieste di condanna, il procuratore generale Paolo Barlucchi, al termine della requisitoria, ha sollecitato pene che ricalcano quelle del primo grado per i due tecnici della Provincia di Pescara, per l’ex sindaco di Farindola e per un tecnico comunale. Per i sei dipendenti del servizio di Protezione civile regionale dell’Abruzzo, il sostituto procuratore generale ha chiesto una condanna a 3 anni e 10 mesi.
Per comprendere l’origine della tragedia è necessario tornare a quel gennaio del 2017, quando l’Italia - e soprattutto l’Appennino centrale - fu investita da una violenta ondata di maltempo. Nevicate eccezionali, accumuli fino a un metro e mezzo, interi comuni isolati per il crollo delle linee elettriche e l’inagibilità delle strade provinciali SP8 e SP37. Nei bollettini Meteomont del 17 e 18 gennaio veniva indicato un livello di pericolo valanghe 4 su 5, con un manto nevoso instabile, caratterizzato da “strati di neve fresca asciutta a debole coesione su strati debolmente consolidati”.
L’unica strada che collegava l’hotel al fondovalle era bloccata. Nonostante gli appelli per inviare una turbina spazzaneve, nessun mezzo riuscì a ripristinare la viabilità in tempo utile per evacuare la struttura. Tutti elementi che, secondo l’accusa, compongono un quadro di omissioni e ritardi che avrebbe contribuito ad aggravare l’esito della vicenda.
Nel pomeriggio del 18 gennaio una valanga imponente si staccò tra il Vado di Siella (1.725 m) e il Monte Siella (2.027 m), incanalandosi nella Grava di Valle Bruciata, un canalone che storicamente incamera frane e colate nevose. La massa, scendendo a velocità devastante, travolse l’hotel Rigopiano, spostandolo di circa dieci metri e distruggendone le strutture portanti. L’edificio sorgeva su un pianoro formato da precedenti detriti valanghivi: un dettaglio che nel dibattito processuale ha alimentato ulteriori interrogativi sulla sicurezza del sito. Un altro nodo affrontato negli anni riguarda l’eventuale correlazione tra la valanga e la sequenza sismica del Centro Italia del 2016-2017. Ma nel 2022 il Tribunale di Milano ha escluso qualsiasi nesso, precisando che la valanga non fu innescata dal terremoto.