È tornata a colpire la cosiddetta “vandala della guaina”, la donna già nota alle cronache locali per una lunga serie di atti vandalici consumati tra le vie di Ponte San Giovanni. Nella notte tra giovedì e venerdì, armata ancora una volta di un secchio e di un pennello, ha imbrattato ingressi condominiali, marciapiedi, porzioni di carreggiata e persino l’isola ecologica del quartiere, utilizzando guaina liquida arancione.
L’episodio ha destato grande preoccupazione tra i residenti, che all’alba hanno segnalato alle autorità i nuovi danneggiamenti. La donna è stata successivamente fermata dalle forze dell’ordine, ma rilasciata poco dopo a seguito di una valutazione sanitaria che ne ha confermato l’incapacità di intendere e di volere.
Secondo quanto ricostruito dalla Polizia Locale e dai Carabinieri, i nuovi raid vandalici si sono concentrati nel cuore di Ponte San Giovanni, in particolare lungo via Cestellini e nelle strade limitrofe. Diversi ingressi di palazzine residenziali sono stati imbrattati con ampie pennellate di guaina impermeabilizzante arancione, una sostanza viscosa e difficile da rimuovere senza compromettere intonaci, infissi e superfici comuni.
Le segnalazioni dei residenti hanno consentito un rapido intervento dei tecnici comunali e delle ditte incaricate della manutenzione ambientale, che hanno verificato l’estensione e la gravità dei danni. Anche l’isola ecologica del quartiere è stata colpita, con macchie diffuse sulle recinzioni e sull’area di accesso, tanto da rendere necessaria una temporanea sospensione del servizio di raccolta per consentire le operazioni di bonifica.
Secondo i primi rilievi, la rimozione della guaina richiederà l’uso di prodotti chimici specifici e personale qualificato, per evitare di danneggiare ulteriormente le superfici interessate. I costi di ripristino, che si sommano a quelli dei precedenti episodi, graveranno in parte sui condomìni privati e in parte sulla collettività, alimentando la frustrazione dei residenti, ormai esasperati da una situazione che si ripete con inquietante regolarità.
La donna, già fermata in diverse occasioni per episodi analoghi, è stata rintracciata poco dopo l’ennesimo raid grazie alle immagini delle telecamere di videosorveglianza e alle segnalazioni tempestive dei residenti. Condotta in caserma, è stata sottoposta agli accertamenti di rito e successivamente a una nuova valutazione psichiatrica.
Gli specialisti hanno confermato la presenza di una grave compromissione delle capacità cognitive e volitive, tale da escludere la piena imputabilità penale. Alla luce della perizia, le autorità giudiziarie hanno disposto il rilascio della donna, in attesa dell’adozione di ulteriori provvedimenti di carattere sanitario da parte degli organi competenti.
Secondo fonti investigative, era stata avanzata la richiesta di un trattamento sanitario obbligatorio (TSO), misura prevista nei casi in cui sia necessario tutelare la persona e la collettività. Tuttavia, il provvedimento non è stato eseguito per la mancanza di posti disponibili nelle strutture psichiatriche territoriali. Una carenza strutturale che, di fatto, ha impedito l’attivazione di un percorso terapeutico e di contenimento in ambiente protetto.
Non si tratta del primo episodio. Negli ultimi mesi la stessa donna era già stata protagonista di diversi atti vandalici, utilizzando vernici e guaine di colori differenti per imbrattare muri, saracinesche e facciate di edifici residenziali. In passato erano state formulate due richieste di espulsione e valutate misure di custodia sanitaria, mai concretizzatesi a causa di vincoli burocratici e carenze del sistema sanitario.
Il suo comportamento - un mix di ossessività, disturbi percettivi e mancanza di controllo degli impulsi - si è trasformato in un vero e proprio fenomeno di disagio collettivo. I residenti, ormai costretti a ripetute operazioni di pulizia e ripristino, parlano di una situazione insostenibile: "Siamo esasperati - racconta un amministratore di condominio -. Non è solo questione di decoro, ma di sicurezza e di dignità. Abbiamo bisogno che qualcuno intervenga in modo definitivo".
La vicenda mette in luce le difficoltà strutturali del sistema nel gestire situazioni in cui disagio psichico, responsabilità penale e ordine pubblico si sovrappongono. Le normative esistenti - dal trattamento sanitario obbligatorio (TSO) alla nomina di un amministratore di sostegno - offrono strumenti teoricamente efficaci, ma la loro applicazione pratica si scontra con ritardi procedurali, carenza di risorse e frammentazione delle competenze tra autorità sanitarie, giudiziarie e sociali.
Da tempo gli operatori del settore segnalano una carenza cronica di posti letto nelle strutture psichiatriche umbre, un limite che rende difficile intervenire anche di fronte ai casi più gravi e urgenti. In assenza di una rete integrata tra sanità, giustizia e servizi sociali, ogni intervento rischia di restare un’azione isolata e inefficace.
Il risultato è un cortocircuito istituzionale: le forze dell’ordine intervengono ma non hanno strumenti per trattenere la persona; i servizi sanitari riconoscono la necessità di un ricovero, ma non trovano disponibilità; le autorità giudiziarie, infine, non possono disporre misure restrittive in assenza di imputabilità. Nel frattempo, la cittadinanza resta esposta alle conseguenze concrete di una vulnerabilità non gestita, tra disagio, rabbia e senso di abbandono.
Il Comune di Perugia, in collaborazione con la Prefettura, starebbe valutando l’elaborazione di un piano di intervento coordinato volto a fronteggiare in modo strutturale la situazione. Tra le ipotesi al vaglio figurano la presa in carico continuativa della donna da parte dei servizi di salute mentale, l’attivazione di un percorso di tutela giudiziaria - con la possibile nomina di un amministratore di sostegno - e il potenziamento dei sistemi di videosorveglianza nelle aree più esposte ai vandalismi.
Parallelamente, le istituzioni discutono la necessità di rafforzare i protocolli di intervento interistituzionale, così da garantire una risposta tempestiva e coordinata tra forze dell’ordine, servizi sociali e strutture sanitarie. L’obiettivo è duplice: prevenire il ripetersi di episodi analoghi e, allo stesso tempo, assicurare un percorso di cura e protezione adeguato a una persona in evidente stato di fragilità.