Un clima di paura, appostamenti sotto casa e messaggi aggressivi nonostante divieti e precedenti: si chiude con una condanna a due anni e quattro mesi il caso di stalking domestico che ha scosso Perugia. Il verdetto, pronunciato il 28 ottobre 2025 in rito abbreviato, riguarda un 53enne ritenuto responsabile di aver perseguitato la moglie e i figli minori. La decisione arriva al termine di un’indagine che ha documentato una serie di condotte pressanti e reiterate.
La Procura, con procedimento coordinato dalla pm Patrizia Mattei, contesta una sequenza di comportamenti idonei a integrare l’art. 612-bis del codice penale. Come riportato in prima battuta dal Corriere dell'Umbria, negli atti si legge che l’imputato avrebbe “posto in essere ripetute condotte persecutorie e vessatorie quali presentarsi a casa, tentare ripetuti riavvicinamenti, inviare messaggi anche minatori, nonostante una precedente condanna per gli stessi reati nei confronti dei familiari”.
Il giudice ha riconosciuto la responsabilità, applicando la riduzione di pena prevista per il rito e confermando le misure di tutela già disposte a protezione delle persone offese.
Il quadro probatorio restituisce episodi diversi ma convergenti: dalla comparsa improvvisa davanti all’abitazione con accuse dirette alla donna – indicata come “la causa di tutto” – agli urli lanciati da dietro una persiana dopo che lei aveva bloccato contatti e chat. In un’altra circostanza l’uomo avrebbe seguito l’ex compagna in auto fino al posto di lavoro, transitando più volte davanti al negozio nonostante l’esplicita richiesta di allontanarsi.
Secondo l’accusa, la convinzione infondata di un tradimento avrebbe alimentato l’ossessione del controllo, generando nella vittima uno stato d’ansia persistente e un fondato timore per la propria incolumità e quella dei figli.
La difesa, rappresentata dall’avvocato Ubaldo Minelli, ha puntato sul rito abbreviato, mentre la donna si è costituita parte civile con l’avvocata Giulia Canalicchio per il risarcimento dei danni patrimoniali e morali. Con la sentenza di condanna il Tribunale ha recepito le risultanze d’indagine, la quantificazione del ristoro potrà essere definita in sede civile o con separato provvedimento.
Restano efficaci i divieti di avvicinamento e contatto; la decisione è appellabile. Il caso riaccende l’attenzione sulla violenza nelle relazioni e sull’importanza di segnalare tempestivamente comportamenti molesti che, dalla ripetizione, traggono la loro pericolosità.
A pochi giorni dalla sentenza di Perugia, un altro episodio di stalking ha portato all’applicazione di una misura cautelare ad Assisi. La Polizia di Stato ha infatti eseguito un’ordinanza nei confronti di un 37enne marocchino accusato di atti persecutori contro la sua ex compagna. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia ha disposto il divieto assoluto di avvicinamento e di qualsiasi forma di comunicazione con la vittima, imponendo al contempo l’uso del braccialetto elettronico per monitorare costantemente i suoi movimenti.
Secondo quanto emerso dalle indagini coordinate dalla Procura, l’uomo avrebbe sottoposto la donna a un controllo ossessivo e continuo, ostacolandone la libertà personale. Durante la convivenza le avrebbe imposto restrizioni nei rapporti sociali e persino impedito di uscire di casa in sua assenza. Dopo la rottura, le condotte persecutorie sarebbero proseguite con pedinamenti, appostamenti e pressioni per riprendere la relazione. Gli investigatori del Commissariato di Assisi hanno accertato che la vittima era costretta a modificare orari e percorsi abituali per sfuggire ai continui tentativi di avvicinamento.
Alla luce dei gravi indizi raccolti, il G.I.P. ha applicato il braccialetto elettronico e il divieto di avvicinamento, ritenendo tali misure indispensabili per garantire la sicurezza della donna. Si tratta di strumenti sempre più utilizzati nei casi di violenza di genere e stalking, capaci di segnalare in tempo reale eventuali violazioni e di attivare immediatamente le forze dell’ordine. Come ricordano gli investigatori, "il controllo tecnologico e il divieto di contatto non hanno solo una funzione repressiva, ma anche preventiva e dissuasiva, restituendo alla vittima condizioni di sicurezza e autonomia personale".