Non è una città addormentata, Perugia. I suoi numeri economici parlano di energie vive, di un tessuto imprenditoriale che reagisce, si trasforma, assume. Eppure, questo dinamismo non basta. La città corre, ma non decolla. Produce valore, ma fatica a trattenerlo. Il vero nodo, quello che da anni frena il salto di qualità dell'intero sistema, è tutto in un dato: la redditività resta inchiodata a livelli troppo bassi. Una zavorra che limita gli investimenti, frena l'innovazione e condanna Perugia a un presente di fatica senza slancio.

Il quadro che emerge dall'analisi della Camera di Commercio dell'Umbria è quello di una realtà sospesa. Da un lato, un'economia che mostra muscoli: le imprese di capitali, nel 2024, hanno visto il loro valore della produzione medio superare i 6,2 milioni di euro, quasi il doppio della media italiana. Gli addetti sono cresciuti dell'8,5% dal 2015, un ritmo più sostenuto sia del dato nazionale che di quello regionale. Dati che, da soli, potrebbero raccontare una storia di successo.
Dall'altro lato, però, si scontrano con un muro. Quella stessa vitalità si infrange contro un margine operativo lordo (Ebitda) che non decolla. Nel 2024 si ferma al 6,5%, un valore ben al di sotto del 9,3% italiano e del 9% del Centro Italia. È un divario strutturale, non una battuta d'arresto temporanea. Le imprese fatturano di più, ma ciò che rimane in tasca dopo aver pagato tutti i costi è troppo poco per garantire un futuro solido.
Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell'Umbria, non usa giri di parole: "Questi numeri confermano che Perugia ha energie, competenze e una vitalità imprenditoriale che non si è mai spenta, ma mostrano anche quanto sia urgente trasformare questa vivacità in valore stabile. Non basta crescere in quantità: dobbiamo mettere le imprese nelle condizioni di far crescere qualità, produttività e redditività". Il monito è chiaro: la città sta consumando le sue energie senza riuscire a capitalizzarle appieno. "Le aziende stanno dimostrando una capacità di adattamento notevole, ma serve un contesto che renda gli investimenti più sostenibili e gli sforzi più remunerativi", aggiunge Mencaroni, indicando la strada da percorrere. "È su questo terreno che si misura la competitività di un territorio e la sua capacità di trattenere talenti, lavoro e opportunità. Perugia può fare di più e meglio: i dati lo indicano con chiarezza, e ora occorre agire".
Guardando al decennio 2015-2025, la Perugia che emerge dalle statistiche è una città che ha cambiato volto. Non è più l'economia di una volta. Il suo sistema produttivo sta vivendo una metamorfosi profonda, che riflette cambiamenti demografici, abitudini di consumo e nuove vulnerabilità.
I settori tradizionali arretrano in modo netto. La manifattura perde il 12,1% delle imprese, il commercio crolla del 18,5%, travolto dalla rivoluzione digitale e dalla mutata domanda. Ancora più pesante il calo nei trasporti e magazzinaggio: -25,6% di attività. È il ritratto di un'economia che si sta staccando dai suoi pilastri storici.
A crescere, in contrapposizione, sono i servizi, soprattutto quelli legati alla persona e al benessere. Le attività sanitarie e di assistenza sociale esplodono, con un +37,2% di imprese, passando da 1.468 a 2.473 unità. Un dato che parla chiaramente di una popolazione che invecchia e di un bisogno di cura in costante aumento. Volano anche le attività artistiche, sportive e di intrattenimento (+44,5%), segno di una domanda di tempo libero e qualità della vita in crescita. Le attività immobiliari registrano un +20% di imprese, indicando un mercato interno vivace, forse più orientato alla compravendita e alla riqualificazione che a una nuova espansione edilizia.
Questa transizione, per quanto fisiologica, non è indolore. Sposta l'economia cittadina verso settori a più bassa intensità di capitale e, spesso, con margini operativi più compressi. Perugia sta diventando una città di servizi, più dipendente dalla domanda interna e meno proiettata verso le catene del valore globale.
Il vero rompicapo, dunque, non è la staticità, ma un movimento che non genera la spinta sufficiente. Il sistema Perugia vive un paradosso: lavora di più, ma guadagna di meno in proporzione. L'aumento del valore della produzione (+47,2% rispetto al 2019) non si traduce in un analogo miglioramento della redditività.
Questa forbice tra fatturato e margini è il sintomo di problemi più profondi. Potrebbe dipendere da una concorrenza troppo agguerrita che comprime i prezzi, da costi operativi (dall'energia alla logistica) più alti della media, o da una struttura dimensionale delle imprese che, seppur in crescita, non raggiunge ancora le soglie critiche per beneficiare di economie di scala. Le imprese, in sostanza, faticano a trasformare il loro operare in risorse da reinvestire.
Il risultato è un circolo vizioso: margini bassi significano meno liquidità per investire in innovazione, automazione e formazione. Meno investimenti significano minore competitività futura, che a sua volta mantiene bassi i margini. È la trappola della mediocrità reddituale da cui Perugia non riesce a uscire.
La città, insomma, non è affatto ferma. È un cantiere aperto, un organismo in trasformazione. Ma il suo motore, per quanto rumoroso, sembra avere un'efficienza limitata. La sfida, come sottolinea Mencaroni, è costruire un contesto che premi la qualità e non solo la quantità. Serve una strategia che aiuti le imprese a scalare, a innovare i processi, a entrare in mercati più remunerativi. Senza questo cambio di marcia, Perugia rischia di continuare a correre, anno dopo anno, restando sempre nello stesso posto.