Una chiamata concitata al numero di emergenza 112 ha messo in moto la macchina dei soccorsi, in una zona residenziale di Perugia, trasformata in pochi istanti in teatro di un grave episodio di violenza familiare. Un uomo di 32 anni, già sottoposto a una misura cautelare di divieto di avvicinamento nei confronti della madre, è stato arrestato dagli agenti della Polizia di Stato per aver infranto le prescrizioni imposte dal giudice e per inosservanza delle regole legate all’uso del braccialetto elettronico.
Secondo quanto ricostruito, al loro arrivo i poliziotti si sono trovati di fronte a una scena tesa: una donna visibilmente scossa e un uomo in evidente stato di agitazione che urlava frasi offensive e minacciose. Solo la prontezza degli agenti ha evitato che la lite degenerasse ulteriormente. Con calma e fermezza, le forze dell’ordine sono riuscite a contenere l’uomo, che continuava a mostrare un atteggiamento ostile e oppositivo anche di fronte all’autorità.
Quando la situazione è stata finalmente ricondotta alla calma, la donna ha raccontato agli agenti l’ennesimo episodio di vessazioni. Ha spiegato che il figlio, nonostante il divieto di avvicinarsi, l’aveva attesa sotto casa per insultarla pesantemente. Temendo per la propria incolumità, era riuscita a rifugiarsi nell’abitazione, chiudendolo fuori. L’uomo, tuttavia, non si era dato per vinto, continuando a gridare e a minacciare la madre finché non sono giunti gli agenti.
L’individuo, già monitorato attraverso dispositivi elettronici di controllo, è stato accompagnato in Questura. Dopo le formalità di rito, è stato denunciato per resistenza e minacce a pubblico ufficiale e arrestato in flagranza per la violazione della misura cautelare di divieto di avvicinamento. Un episodio che evidenzia ancora una volta quanto sia difficile garantire la sicurezza delle vittime in contesti familiari delicati, anche in presenza di strumenti di controllo tecnologico.
Le autorità giudiziarie valuteranno ora un aggravamento delle misure restrittive a suo carico, considerata la reiterazione della condotta e la gravità del comportamento.
La vicenda di Perugia riporta al centro dell’attenzione due reati distinti ma spesso correlati: la resistenza a pubblico ufficiale e la violazione del divieto di avvicinamento, misure e comportamenti che la legge italiana disciplina con estrema severità, soprattutto quando coinvolgono ambiti familiari o di violenza domestica.
Il reato di resistenza a pubblico ufficiale è previsto dall’articolo 337 del Codice Penale. Si configura quando un cittadino usa violenza o minaccia nei confronti di un pubblico ufficiale - come un agente di polizia - nell’esercizio delle proprie funzioni o per costringerlo a compiere o omettere un atto del suo ufficio. La pena prevista va da sei mesi a cinque anni di reclusione, a seconda della gravità dell’azione e delle circostanze. La giurisprudenza ha chiarito che anche un comportamento verbale fortemente minaccioso può integrare il reato, soprattutto se tale atteggiamento ostacola l’attività degli agenti o ne mette in pericolo l’incolumità.
Diverso, ma altrettanto rilevante, è il reato di violazione del divieto di avvicinamento, previsto dall’articolo 387-bis del Codice Penale, introdotto nel 2019 con il cosiddetto “Codice Rosso”. Tale norma punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chi non rispetta un provvedimento giudiziario che impone di mantenere una certa distanza da una persona protetta, come avviene nei casi di maltrattamenti in famiglia o stalking.
Nel caso specifico, la presenza del braccialetto elettronico - strumento di controllo adottato per monitorare il rispetto della misura - non ha impedito la violazione, dimostrando quanto sia complesso bilanciare tutela delle vittime e possibilità di reinserimento del soggetto sottoposto a misura cautelare. La legge prevede che il mancato rispetto delle prescrizioni imposte, come l’allontanamento o il monitoraggio elettronico, comporti l’arresto immediato in flagranza, proprio come accaduto al 33enne di Perugia..