La serata di festa al 110 Café, tradizionale appuntamento del “Venerdì universitario”, si è chiusa in tragedia. Intorno alle 4.30 del mattino, nel parcheggio del Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università di Perugia, Hekuran Cumani, 23 anni, nato a Fabriano da famiglia di origine albanese, è stato colpito al petto con una coltellata mortale mentre cercava di difendere il fratello Samuele, ferito alla gamba. I due erano arrivati con una comitiva marchigiana per divertirsi.
Nel locale era scoppiata una discussione fra i ragazzi di Fabriano e un gruppo di coetanei perugini, italiani di seconda generazione, molti con origini nordafricane. Uno sguardo o un commento a una ragazza avrebbero scaldato gli animi. Il personale del club li aveva separati, ma a fine serata i gruppi si sono ritrovati nel parcheggio. Secondo i testimoni, è arrivato un giovane di origine tunisina con due coltelli: con uno ha ferito Samuele alla coscia, con l’altro ha colpito mortalmente Hekuran.
L’aggressore e i suoi amici sono fuggiti portando via l’arma del delitto. Un secondo coltello è stato consegnato alla polizia da un giovane e dalla fidanzata. Le telecamere del locale non riprendono tutta l’area e nessuno ha visto bene la coltellata, ma i testimoni delineano un identikit preciso: un ventenne tunisino residente in città. Diversi giovani sono indagati per lesioni e minacce ma non per rissa; i telefoni di alcuni partecipanti sono stati sequestrati per analizzare messaggi e chiamate.
Uno dei sospettati che ha consegnato il coltello sostiene di averlo usato solo per difendersi; insieme a lui è indagato anche un buttafuori del locale. Le telecamere, però, non hanno ripreso il momento della coltellata e nessuno dei presenti l’ha vista. Le testimonianze descrivono un gruppo di giovani già noti alle forze dell’ordine, ma resta da chiarire il movente.
Poiché nel parcheggio non ci sono telecamere, gli investigatori hanno interrogato decine di ragazzi e hanno cercato la lama nei tombini e nelle siepi. Gli inquirenti sospettano che il coltello fosse stato recuperato da un’auto fuori dal locale, poiché l’ingresso era dotato di metal detector. Le due comitive non si conoscevano e non vi sono legami con bande o droga.
Hekuran Cumani era un ragazzo tranquillo, appassionato di tatuaggi e palestra, che svolgeva lavori stagionali. Non era studente universitario; viveva a Fabriano con genitori albanesi e il fratello minore. La notizia della sua morte ha scosso la comunità: la sindaca Daniela Ghergo parla di “violenza insopportabile”; la presidente dell’Umbria Stefania Proiettiesprime dolore e vicinanza.
Gli studenti che abitano nei palazzi attorno al campus raccontano di aver sentito urla e sirene nella notte. A Fabriano e Perugia amici e conoscenti hanno espresso cordoglio e indignazione, chiedendo giustizia per il giovane.
Nelle due città sono state organizzate fiaccolate e raccolte fondi per la famiglia Cumani. “Non possiamo accettare che la vita di un ragazzo finisca così”, ha dichiarato un amico di Hekuran durante la veglia. La comunità albanese in Umbria ha espresso solidarietà e si è offerta di collaborare con le autorità per garantire giustizia.
Il caso riaccende il dibattito sulla sicurezza nella movida perugina. Prefetto e questore valutano l’installazione di nuove telecamere e luci; alcuni commercianti chiedono controlli più rigidi all’ingresso dei locali e pattuglie all’uscita. Altri ricordano che la violenza è esplosa nel parcheggio, un’area poco vigilata, e che non bisogna demonizzare le comunità straniere: le indagini hanno escluso legami con gang e droga. Restano da chiarire le ragioni che hanno trasformato un diverbio per futili motivi in un omicidio.
Oltre all’ipotesi di omicidio volontario, la Procura contesta il reato di lesioni aggravate e di porto abusivo di arma bianca. Intanto il parcheggio di via Vanvitelli resta il simbolo di una serata spezzata. La morte di un giovane di 23 anni diventa un monito per riflettere su integrazione, gestione dei conflitti e sicurezza nella vita notturna.