Ormai lo conoscono tutti. Non è un turista, ma ha più presenze in centro storico di qualunque visitatore abituale.
È grosso, ha il pelo arruffato, lo sguardo saggio e un passo elegante: si chiama Peppone, ed è un cinghiale. Anzi, il cinghiale. Quello che da mesi fa incursioni notturne nel cuore della città, dal Parco Ranghiasci fino alla Taverna dei Santantoniari, passando per parcheggi, pendii e leggende metropolitane, come quella della Donna Gatto, soffermandosi anche davanti alla dimora della strega presso il Palazzo Ducale. Un’icona, insomma.
“Giù le mani da Peppone!”, scrivono alcuni cittadini sui social, dopo l’ennesimo avvistamento in via Savelli della Porta, a due zoccolate dalla Fontana del Bargello intorno alla quale avrebbe fatto le tre rituali girate rigorosamente in senso antiorario per ottenere la patente di Matto di Gubbio.
L’ultimo avvistamento è stato qualcosa di epico. Intorno alle 23, Peppone è stato visto aggirarsi con calma olimpica nel bel mezzo di Piazza Grande, seduto a contemplare languidamente la luna piena. Ma niente fughe in stile National Geographic. Peppone ha sfilato come fosse stato un modello alla Paris Fashion Week, con lo sguardo fiero, il muso rivolto alle stelle, e ogni tanto una rapida, furtiva occhiata ai secchi della spazzatura.
“Sembrava cercasse un ristorante con cucina tipica”, racconta un passante incredulo. “Ma poi ha trovato un sacco semiaperto e si è accontentato di un pezzo di crescia al testo e qualche crosta di pecorino.”
Il video del cinghiale in centro è diventato virale nelle chat WhatsApp, su Facebook e perfino su un forum per appassionati di trekking. In molti giurano di averlo visto anche nei pressi della Funivia, nel letto del torrente Cavarello, alla rotatoria della Contessa e, con un certo sussiego, anche in direzione Madonna del Ponte.
C’è chi teme per la sicurezza pubblica, chi auspica un piano di contenimento, e chi invece propone di nominarlo “ambasciatore selvatico” della città. Un tizio su Instagram ha lanciato la petizione “Peppone Patrimonio dell’Umanità”. Al momento conta 112 firme, di cui 37 provenienti dal Trentino-Alto Adige e una dalla Patagonia.
In verità, qualcosa si muove anche a livello operativo. Sono state posizionate cinque trappole nella zona del Parco di Coppo, area frequentata non solo da cinghiali ma anche, secondo alcune voci, da leggendari elfi dei boschi e occasionali hobbit cercatori di tartufo.
L’idea è quella di catturare gli ungulati più irrequieti. Ma Peppone, il boss, pare del tutto indifferente. Si dice che una notte abbia addirittura disattivato una trappola smontandola con il grugno.
“È intelligente, conosce la città meglio di un vigile urbano,” confida un addetto alla manutenzione. “Ha un GPS interiore e un orologio biologico tarato sugli orari di chiusura dei forni.”
Peppone non è solo un animale. È diventato simbolo. Totem. Genius Loci. Alcuni ristoratori propongono di intitolargli un piatto: “Tagliatelle boscaiole alla Peppone”, rigorosamente vegetariane, per non urtare la sensibilità di molti fan.
La Taverna dei Santantoniari, dove è stato avvistato più volte, gli ha riservato una sedia in legno e un piatto di "imbrecciata" col nome inciso.
“Lui non scappa. Lui osserva. È uno di noi,” afferma un noto ceraiolo ex capodieci. “Stiamo tentando di coinvolgerlo nella "muta" del secondo "Buchetto" dove serve gente tosta.”
A parte le risate e i meme, il tema della presenza dei cinghiali in città è reale. I danni al Parco Ranghiasci, “arato come un campo di rape da mezzadria medievale”, hanno destato preoccupazione.
All’ingresso della città, la famosa “selva oscura” – come è stata ribattezzata l'area del parco da alcuni cittadini – resta una macchia verde di abbandono, dove si alternano capre pascolanti, cinghiali a spasso e, secondo un bambino intervistato, anche “Gollum ma con il cappello.”
La zona avrebbe bisogno di una riqualificazione urbana, magari con sculture moderne o richiami alla storia eugubina. E non potrebbe mancare una statua di Peppone a grandezza naturale, con targa in bronzo:
“A Peppone, libero spirito eugubino, 'matto de Gubbio' e sacro custode del torrente Cavarello.”
In fondo, Peppone ci ricorda qualcosa di profondo. Che la città e la natura non sono mondi separati, che gli animali sono parte del nostro paesaggio e della nostra storia - basti leggere le Tavole Eugubine - e che a volte, una pezzo di crescia al testo in un sacco della spazzatura può diventare il filo invisibile tra civiltà e selva. D'altronde non è ancora certo se Peppone sia uno degli animali sapienti adottati del leggendario Omo Silvatico, avvistato a più riprese nei boschi intricati intorno al Monte Cucco.
Peppone non parla, ma comunica. Con lo sguardo, con le zampe, con la calma di chi non ha fretta di fuggire, ma si prende il tempo per osservare. E' padrone del suo tempo.
La domanda aleggia. Che succederebbe se un giorno Peppone non si vedesse più? Se sparisse, silenzioso com’era arrivato?
“Lo cercheremmo come si cerca un amico che non ha lasciato detto dove andava”, scrive un poeta su Facebook.
E forse, sì, ci mancherebbe un po’. Perché Gubbio ha sempre avuto un legame speciale con gli animali: basti pensare al leggendario Lupo di Francesco, addomesticato con la parola. E alle mitiche presenze animali che abitavano il mondo degli antichi Umbri.
Pare che Peppone abbia incontrato il Santo di persona e che gli abbia parlato. Meglio che a un uomo.
E che il Poverello gli abbia affidato la missione di insegnarci a guardare la città con occhi diversi. Magari un po’ più selvatici. Perchè la selva rappresenta un mistero che va osservato con occhi nuovi.
Sicuramente più attenti.