La Corte d’Assise d’Appello di Perugia ha condannato all’ergastolo Leopoldo Wick, 62 anni, ex infermiere della Rsa di Offida (Ascoli Piceno), ritenuto responsabile, secondo l’accusa della Procura di Ascoli, di otto omicidi volontari e quattro tentati omicidi ai danni di pazienti anziani ospiti della struttura. I fatti contestati si sarebbero verificati tra gennaio 2017 e febbraio 2019, attraverso somministrazioni indebite di farmaci, tra cui insulina e psicofarmaci, con conseguenze letali e reiterate. La Corte ha accolto integralmente la richiesta della Procura generale, che aveva sollecitato il massimo della pena.
Secondo l’accusa, i decessi e i tentativi di omicidio sarebbero stati provocati da somministrazioni indebite di farmaci, somministrati senza alcuna indicazione medica. Le indagini hanno ricostruito un quadro articolato e sistematico di comportamenti illeciti, confermando la reiterazione e la gravità delle azioni contestate.
Gli episodi hanno suscitato profonda inquietudine nella comunità locale e nel settore sanitario, sollevando interrogativi sulle modalità di erogazione delle cure e sulla tutela dei pazienti ospiti di strutture residenziali. La vicenda ha messo in luce criticità significative nei protocolli di somministrazione dei farmaci e nei sistemi di controllo interno delle Rsa, richiamando l’attenzione sulla necessità di vigilanza costante e di rigorosi standard di sicurezza nelle strutture sociosanitarie.
Il procedimento ha attraversato molti gradi di giudizio, caratterizzandosi per continui ribaltamenti e revisioni. In primo grado, la Corte d’Assise di Macerata aveva inflitto all’imputato l’ergastolo, ma la successiva sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Ancona aveva annullato la condanna, pronunciando un’assoluzione.
La Corte di Cassazione, nell’ottobre 2024, aveva tuttavia annullato l’assoluzione, rilevando lacune e insufficienze nella valutazione degli elementi probatori, tra cui esami ematici e referti clinici, e disponeva un nuovo processo d’appello a Perugia. Con il nuovo verdetto, la Corte perugina ha confermato la condanna iniziale, ribaltando la decisione d’appello di Ancona e ribadendo la gravità dei reati contestati.
Al termine della lettura della sentenza, la difesa di Leopoldo Wick ha annunciato l’intenzione di presentare un nuovo ricorso in Cassazione. La prospettiva del ricorso lascia formalmente aperto il percorso processuale e rimette alla Suprema Corte la valutazione, su eventuali profili giuridici e di prova, già al centro dei precedenti gradi di giudizio.
Le famiglie delle vittime hanno espresso sollievo per il riconoscimento della gravità dei fatti, definendo la decisione "un momento di verità" e un punto di svolta nel lungo iter processuale. Per le parti civili la sentenza rappresenta un passo importante verso il riconoscimento delle ragioni delle vittime e offre una parziale chiusura a una vicenda che ha segnato profondamente le comunità coinvolte.
Al centro della controversia sono rimasti gli esami ematici, i referti clinici e le cartelle dei pazienti, la cui corretta lettura ha rappresentato uno snodo cruciale del processo. La Corte di Cassazione aveva evidenziato la necessità di un riesame tecnico-scientifico, ritenendo che la valutazione preliminare dei dati tossicologici e clinici fosse incompleta o insufficiente per stabilire con certezza il nesso causale tra le somministrazioni contestate e i decessi.
Nel nuovo grado d’appello a Perugia, consulenti e periti hanno svolto approfondite perizie tossicologiche e farmacologiche - analizzando dosaggi, tempi di somministrazione, metaboliti e quadro clinico complessivo - fornendo elementi che hanno reso possibile una ricostruzione più organica delle dinamiche contestate. È stata proprio questa rivalutazione tecnica, con l’interpretazione integrata delle evidenze mediche, a costituire la base probatoria che ha consentito ai giudici di confermare la condanna.
La vicenda ha provocato profondo sconcerto nell’opinione pubblica, riaprendo una riflessione cruciale sul valore della fiducia e sull’etica della cura all’interno delle strutture residenziali per anziani. La sentenza richiama la necessità di un rinnovato impegno verso la trasparenza, la responsabilità professionale e il rispetto rigoroso dei protocolli di sicurezza, elementi imprescindibili per garantire la dignità e l’incolumità degli ospiti.
Il caso pone interrogativi sostanziali sulle procedure di somministrazione farmacologica e sull’efficacia dei sistemi di controllo interno, evidenziando come la tutela dei soggetti più vulnerabili richieda una vigilanza costante, una cultura organizzativa fondata sull’etica e un’adesione convinta ai principi di buona pratica sanitaria.