La verità come ricerca, tensione, sfida personale e collettiva. È questo il filo conduttore della 36ª edizione del Presepe nel Pozzo della Cava, uno degli appuntamenti più suggestivi del Natale umbro. Un percorso immersivo che si snoda nei sotterranei del complesso archeologico e che, per l’edizione di quest’anno, affida la narrazione a un protagonista tanto inatteso quanto emblematico: Ponzio Pilato.
Non il personaggio statico dei Vangeli, ma un Pilato moderno, inquieto, capace di interrogarsi e di interrogare l’uomo di oggi, mettendo al centro il rapporto tra ricerca della verità e strumenti contemporanei, inclusi tecnologia e intelligenza artificiale.
Il presepe diventa un vero itinerario interiore. Non solo una rappresentazione della Natività, ma un percorso fatto di dieci tappe narrative, costruite su contrasti e dualismi, sulla lentezza del comprendere e la velocità del nostro tempo.
A raccontarne il senso è Marco Sciarra, direttore del complesso archeologico. “L’intero itinerario è costruito su un dualismo costante: la scorciatoia e il percorso, la soluzione immediata e il cammino necessario per comprenderla davvero. Ci chiediamo se oggi la verità si trovi con un clic o attraverso l’incontro e l’esperienza”, spiega.
Ecco allora che il presepe non si limita a emozionare, ma provoca, invita a pensare, mette il visitatore di fronte a una domanda antica e sempre nuova: che cos’è la verità?
Il percorso trova la sua massima espressione nelle tre grandi scene con personaggi a grandezza naturale e in movimento.
La prima è l’incontro tra Pilato e Gesù, uno dei momenti più intensi della storia evangelica. Qui la celebre domanda – “Che cos’è la verità?” – rimane sospesa, senza risposta, come allora e come oggi.
Segue la scena dell’annuncio ai pastori, coloro a cui la verità viene rivelata nella sua luce più pura, senza filtri, senza interpretazioni, quasi a suggerire che spesso a vedere davvero sono i semplici, i piccoli, gli ultimi.
La terza e ultima scena è la chiusura del viaggio: un Pilato ormai mutato, affaticato ma consapevole, che raggiunge una sua sintesi interiore. “Pilato trova la sua verità impiegandoci molto più tempo di quanto farebbe l’uomo moderno – spiega Sciarra – forse invidiando la rapidità con cui oggi si risolvono enigmi e problemi. Ma comprendere davvero l’essenza delle cose è un’altra questione”.
Nell’ultima scena Pilato confessa il suo fallimento: “Avevo la verità davanti”. Una frase che diventa specchio del nostro tempo. “Riguarda anche l’uomo di oggi – osserva Sciarra – perché spesso la verità è sotto i nostri occhi, ma diventa sempre più difficile riconoscerla”.

Il Presepe nel Pozzo non vuole essere catechismo illustrato né lezione morale. È piuttosto un’esperienza che accompagna, stimola, lascia aperti interrogativi.
“Il tributo più grande – conclude Sciarra – non è uscire e dimenticare ciò che si è visto, ma guardare il mondo con occhi diversi”.
È questa l’essenza del progetto: trasformare una tradizione in occasione di riflessione contemporanea, senza perdere il legame con il sacro.
A rendere ancora più coinvolgente l’esperienza è l’uso dell’anamorfismo, una particolare tecnica visiva che gioca con prospettive e percezioni. Nell’ultima scena, infatti, Gesù appare attraverso un’elaborazione che unisce linguaggio pittorico antico e intelligenza artificiale, in un sorprendente dialogo tra passato e futuro.
Enigmi visivi, cambi prospettivi, soluzioni che si rivelano solo cambiando punto di vista: metafora perfetta del rapporto con la verità, mai immediata, mai data una volta per tutte.
Ancora una volta il Presepe nel Pozzo conferma la sua capacità di essere molto più di un evento natalizio: è un laboratorio culturale, spirituale e artistico, capace di unire tradizione, archeologia, fede, tecnologia e riflessione sociale.
Un presepe che non racconta solo una storia antica, ma accompagna l’uomo di oggi attraverso un viaggio interiore, lasciando una domanda sospesa, la stessa da duemila anni: la verità, dove si trova? Con un clic o con il cammino?
Forse la risposta non è nelle scene, ma negli occhi di chi esce dal pozzo un po’ diverso da come vi è entrato.