Una lama sottile, un affondo dall’alto verso il basso, un solo colpo che ha trafitto torace, cuore e un polmone. È questo che dice l'esito dell’autopsia sul corpo di Hekuran Cumani, 23 anni, morto nella notte tra venerdì e sabato nel parcheggio della facoltà di Matematica a Perugia. Il dato medico–legale è netto e dà una direzione chiara alle indagini: mentre il capoluogo umbro chiede risposte, la Procura stringe i tempi sugli accertamenti irripetibili e sulle analisi genetiche per legare, con prove oggettive, persone, luoghi e armi.
Il referto individua una sola ferita, letale per traiettoria e profondità. La dinamica è compatibile con un coltello non particolarmente lungo ma capace di penetrare con forza, la direzione dall’alto al basso suggerisce invece un corpo a corpo ravvicinato o una posizione di vantaggio dell’aggressore. Al momento l’ipotesi di reato formulata dagli inquirenti resta l’omicidio volontario aggravato: un capo d’accusa che tiene insieme la violenza del gesto e il contesto in cui è maturato.
Quella notte due gruppi vengono alle mani: da una parte giovani perugini, italiani di seconda generazione con origini magrebine, dall’altra Hekuran Cumani e il fratello minore Samuele, arrivati da Fabriano. Nel fascicolo spicca un 21enne di origine tunisina, iscritto nel registro per omicidio volontario e ritenuto il principale indiziato. Secondo la sequenza ricostruita, pochi minuti prima della coltellata mortale lo stesso 21enne avrebbe ferito alle gambe Samuele con due fendenti, circostanza che delimita tempi e modalità dell’escalation che ha portato alla morte di Hekuran.
La scena è stata caotica e le testimonianze non sono sovrapponibili. Amici della vittima riferiscono di aver visto il 21enne armato di coltello, senza però cogliere l’istante dell’affondo. Nel frattempo un buttafuori di 28 anni—oggi indagato per lesioni aggravate—avrebbe disarmato un altro ragazzo del gruppo perugino, di 18 anni, finito a sua volta sotto inchiesta insieme alla fidanzata ventenne per porto abusivo di oggetti atti a offendere.
Nella Opel Corsa della giovane è stato trovato un coltello, che allo stato non risulta compatibile con la ferita descritta dall’autopsia. Le difese sono affidate, tra gli altri, agli avvocati Vincenzo Bochicchio, Michele Morena, Franco Libori, Giuseppe Gasparri e Andrea Ulivucci.
Sul tavolo dei consulenti sono arrivati indumenti, accessori e parti d’auto: i pantaloni e il giaccone del 21enne indagato, i tappetini di un’Audi A3 e della stessa Opel Corsa, un paio di scarpe riconducibili al 18enne, oltre al coltello recuperato a bordo. Le genetiste forensi Eugenia Carnevali e Simona Severini cercano microtracce ematiche e profili di Dna riconducibili ai fratelli Cumani: impronte biologiche che, se confermate, potranno consolidare il quadro indiziario. Resta aperta la pista di un’arma diversa, forse gettata nel Tevere durante il rientro verso Ponte San Giovanni: un’ipotesi che spiegherebbe perché il coltello sequestrato non coincida con la lesione individuata in autopsia.
Gli investigatori, coordinati dal sostituto procuratore Gemma Miliani, lavorano su un doppio fronte: definire con precisione la dinamica (tempi, posizioni, movimenti) attraverso rilievi e testimonianze; attribuire le responsabilità penali grazie ai riscontri di laboratorio, dalle comparazioni sulle lame al confronto genetico sui reperti. I primi esiti delle analisi potranno indicare se e quanto il 21enne fosse a contatto con il sangue delle vittime e quale ruolo abbiano avuto gli altri indagati nella sequenza degli eventi.