Un’Umbria fatta di città medie, borghi interni e microcomuni sta affrontando il banco di prova più delicato: quello della rarefazione demografica. È quanto emerge dalla ricerca “Abitare il limite. I percorsi demografici dei microcomuni umbri”, curata da Giuseppe Coco, responsabile dell’Area di Ricerca “Mutamenti sociodemografici” dell’Agenzia Umbria Ricerche (AUR).
Il lavoro mette a fuoco i dodici comuni umbri con meno di mille abitanti, luoghi che incarnano la sfida estrema dello spopolamento. Qui l’età media sfiora o supera i 60 anni e l’indice di vecchiaia - il rapporto tra popolazione anziana e giovane - raggiunge valori record.
“Non siamo di fronte a una semplice statistica” sottolinea Coco. “La rarefazione demografica si traduce in serrande abbassate, classi scolastiche accorpate, piazze sempre meno frequentate. Sono segnali che incidono direttamente sul funzionamento dei luoghi e sul senso di comunità”.
La fotografia elaborata da AUR mostra un’Umbria fortemente policentrica, con realtà urbane medie che reggono e territori interni che progressivamente si svuotano. Ma è nella fascia dei microcomuni sotto i mille residenti che la dinamica diventa più chiara.
Secondo la ricerca, la natalità è insufficiente a garantire ricambio e le fasce giovani risultano drasticamente ridotte. In molti centri la popolazione appare sbilanciata verso gli anziani, con punte in cui l’indice di vecchiaia supera abbondantemente la media regionale.
Eppure, nonostante i dati allarmanti, emergono spiragli inaspettati. In comuni come Preci, Sellano e Cerreto di Spoleto, il saldo migratorio è positivo.
“Sono numeri piccoli, ma hanno un valore simbolico enorme” osserva Coco. “Vuol dire che anche i contesti più fragili possono attrarre nuove presenze. Alcune famiglie scelgono questi borghi per qualità della vita, altre persone tornano a vivere nei luoghi d’origine, altre ancora trovano qui uno spazio per ripartire”.
La ricerca invita a superare la mera contabilità dei residenti. Non è sufficiente misurare quanti rimangono: occorre domandarsi chi potrebbe arrivare e con quali progetti di vita.
“Il futuro dei microcomuni non passa da un’improbabile ripresa della natalità” spiega Giuseppe Coco. “Passa piuttosto dalla capacità di intercettare flussi migratori, ritorni, nuove forme di mobilità. Anche un piccolo movimento può contribuire a mantenere viva una rete sociale e a sostenere l’economia locale”.
Il tema centrale diventa quello dell’abitare consapevole. Nei borghi sotto i mille abitanti non c’è spazio per un ritorno alla densità urbana, ma può nascere un modello diverso: più lento, meno fondato sul radicamento permanente e più attento alla qualità della vita.
“Questi luoghi non sono reliquie o rovine” insiste Coco, autore della ricerca dell'AUR. “Sono spazi vivi, che possono attrarre presenze nuove non per compensare le perdite, ma per aprire traiettorie diverse. Abitare qui non significa resistere al cambiamento, ma incorporarlo con intelligenza”.
Abitare il limite, dunque, non è solo il titolo di una ricerca. È un concetto che richiama l’idea di vivere in territori che sfidano la rarefazione e cercano nuove modalità di esistenza. Per i dodici comuni umbri sotto i mille abitanti, la tenuta non coincide con la fissità, ma con la capacità di rigenerarsi attraverso le relazioni, l’accoglienza e la flessibilità.
“La demografia non è destino” conclude Coco. “Riconoscerlo significa aprire spazi di possibilità anche nei luoghi più esposti al declino. È poco, forse. Ma spesso è proprio questo poco a fare la differenza tra un archivio e una comunità viva”.