In una domenica segnata da migliaia di passi e da un messaggio che attraversa l’Italia, la Marcia della Pace Perugia–Assisi riporta il dibattito pubblico sul terreno più urgente: come tradurre i grandi principi in scelte quotidiane e politiche. L’assessore regionale alla Pace, Fabio Barcaioli, ha scelto di esserci e di legare la presenza delle istituzioni umbre a un’idea di pace che non è slogan ma responsabilità: civile, culturale e di governo.
La Marcia Perugia–Assisi non è solo un rito civile. Nel quadro internazionale odierno, con conflitti che si moltiplicano e un’opinione pubblica spesso polarizzata, il suo valore è duplice: ricordare che la pace è politica pubblica e misurare la coerenza degli attori istituzionali.
In questo senso la partecipazione della Regione Umbria assume un significato che va oltre la testimonianza. L’adesione esplicita al rispetto del diritto internazionale e alla centralità dei diritti umani rimette al centro la domanda su come si costruiscono realmente percorsi di disarmo, mediazione e cooperazione, dall’educazione civica nelle scuole alle reti tra Comuni, fino ai partenariati con le organizzazioni della società civile.
Nel suo intervento, Barcaioli ha legato la Marcia alla necessità di guardare in faccia la realtà dei conflitti e delle vittime, senza ambiguità: “Essere qui significa affrontare la realtà delle guerre che colpiscono civili, bambine e bambini, uomini e donne in ogni continente. Nel mondo sono attivi oggi 56 conflitti e, tra questi, quello palestinese è segnato da un genocidio che richiede forza, determinazione e attenzione da parte di chiunque voglia difendere la vita e i diritti delle persone. Significa non voltarsi dall’altra parte davanti alla fame, alle malattie, alle bombe, alla distruzione di intere comunità. Significa pensare all’Ucraina, al Sud Sudan e a tutti coloro che vivono conflitti meno mainstream ma altrettanto devastanti”.
Parole che collocano l’Umbria su un crinale netto: non neutralità morale, ma presa di posizione per il diritto, le Convenzioni e la tutela dei civili, ovunque.
Il punto cruciale, richiamato dall’assessore, è il passaggio dalla testimonianza all’azione politica. “Essere presenti oggi è un impegno morale. Chi tace di fronte alla guerra e di tutte le ingiustizie diventa complice del dolore che si infligge. La pace è un atto quotidiano che richiede attenzione e la capacità di costruire ponti tra popoli e culture diverse. La pace è agire nel rispetto del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’Onu. A 80 anni dalla tragedia di Hiroshima e Nagasaki, investire nella spesa al riarmo non può continuare a essere la priorità per gli stati”.
Da qui discendono scelte verificabili: programmi educativi sulla nonviolenza e sul contrasto ai discorsi d’odio; sostegno a corridoi umanitari e gemellaggi con amministrazioni in aree di crisi; promozione di protocolli locali per l’accoglienza, l’inclusione e la cooperazione decentrata; trasparenza sugli investimenti, privilegiando filiere sostenibili e responsabili.
L’Umbria ha una tradizione che obbliga. Da Aldo Capitini a San Francesco, la cultura della pace non è solo patrimonio simbolico ma capitale civico. Valorizzarla significa fare dell’educazione alla convivenza, dell’altruismo e dell’empatia i cardini di politiche sociali e giovanili; significa promuovere percorsi regionali sulla diplomazia delle città, creare tavoli permanenti con università, scuole, associazioni e mondo produttivo per tradurre i “valori universali” in progetti misurabili. In questo solco, la presenza dell’assessore alla Marcia è una conferma di indirizzo: l’Umbria non si limita a raccontare la pace, vuole praticarla.
Da Assisi è arrivato anche l’appello del cardinale Pietro Parolin, in occasione della prima festa liturgica di San Carlo Acutis dopo la canonizzazione: “Continuiamo a ritenere che quella dei due Stati per due popoli sia la formula che può aiutare a risolvere i problemi e i rapporti tra ebrei e palestinesi ed è perfettamente in linea con quanto noi abbiamo sempre chiesto”.
“Non ci sarà la vera pace senza che sia fatta giustizia per tutti i popoli”, ha ricordato Parolin, perché “a fondamento della pace deve esserci la giustizia”.