21 Sep, 2025 - 21:00

La ceramica a riflesso di Gualdo Tadino: il nuovo episodio di Waldum racconta Paolo Rubboli e Daria Vecchi

La ceramica a riflesso di Gualdo Tadino: il nuovo episodio di Waldum racconta Paolo Rubboli e Daria Vecchi

La storia della ceramica a riflesso di Gualdo Tadino torna protagonista grazie al nuovo episodio di Waldum – Voci da una città che racconta, il format di narrazione curato da Sara Bossi e dedicato alle eccellenze storiche e culturali del territorio.

L’episodio, dal titolo “Da Paolo Rubboli e Daria Vecchi al Museo di oggi”, è il sedicesimo della serie e vede la collaborazione di Maurizio Tittarelli Rubboli, erede e custode della memoria familiare.

“La storia di mio bisnonno Paolo e di mia bisnonna Daria è la storia di un’arte che ha reso celebre Gualdo Tadino nel mondo,” spiega Maurizio. “Raccontarla oggi significa restituire valore a un’eredità che appartiene a tutta la città.”

Paolo Rubboli: l’artista che riportò il riflesso a Gualdo

Paolo Rubboli nasce il 15 dicembre 1838 a Fiorenzuola di Focara, in provincia di Pesaro. Intorno al 1875 giunge a Gualdo Tadino per lavorare per conto di Marcello Galli-Dunn, facoltoso piemontese appassionato d’arte che aveva scelto la città umbra per aprire un opificio di produzione di “maioliche artistiche uso Urbino, Faenza e Gubbio”.

Dopo quell’esperienza, nel 1878 Paolo decide di fondare un proprio laboratorio, dando vita all’Opificio Rubboli. Accanto a lui, la moglie Daria Vecchi, donna di straordinaria forza e determinazione.

“Senza Daria probabilmente oggi non parleremmo di Opificio Rubboli,” sottolinea l’episodio di Waldum.

Daria Vecchi: la Maestra del Terzo Fuoco

Alla morte di Paolo, nel 1890, Daria prende le redini dell’azienda in un’epoca in cui per una donna non era semplice dirigere un’impresa. Cresce da sola i figli e porta avanti la produzione, mantenendo viva la tecnica del terzo fuoco, ovvero la complessa lavorazione per ottenere i riflessi metallici sulle ceramiche.

Il suo impegno viene riconosciuto con la Medaglia d’Oro per la Ceramica Iridata all’Esposizione Generale Umbra. Daria entra anche nel libro “Donne imprenditrici nella storia dell’Umbria” di Barbara Curli, accanto a figure del calibro di Luisa Spagnoli.

“Daria è ricordata ancora oggi come la ‘Maestra del Terzo Fuoco’, simbolo di coraggio e di eccellenza artistica,” racconta Sara Bossi nel podcast.

Dall’Opificio al Museo

Nel corso degli anni, l’Opificio Rubboli ha cambiato più volte sede: dall’ex convento di San Francesco a quello di San Nicolò, fino ad arrivare all’attuale collocazione in Via G. Discepoli 16, accanto a Via Paolo Rubboli.

Oggi in quegli spazi si trova il Museo Opificio Rubboli, una vera e propria macchina del tempo che permette di entrare in una fabbrica ottocentesca rimasta intatta.

Le muffole, i forni a riverbero per il terzo fuoco, sono ancora quelle originali del 1884, identiche a quelle descritte nel 1558 da Cipriano Piccolpasso nei “Tre libri dell’arte del vasaio”.

“Forse queste sono le uniche muffole ancora esistenti al mondo,” sottolinea Maurizio. “Oggi rappresentano un patrimonio unico che attira studiosi e appassionati da ogni parte.”

I figli e la continuità familiare

Dopo la morte di Daria nel 1929, i figli Lorenzo e Alberto portano avanti l’attività, rientrati dal fronte della Prima Guerra Mondiale dove avevano prestato servizio con la Croce Rossa del Piave.

Il terzo figlio, Augusto, destinato agli studi, diventa maestro e direttore di banca, ma la sua vita si interrompe tragicamente nel 1931.

La Società Ceramica Umbra, di cui l’opificio faceva parte, chiude proprio nel 1931. Nonostante le difficoltà, Lorenzo e Alberto continuano la produzione fino al 1934, per poi intraprendere percorsi diversi ma sempre legati alla ceramica.

“Alberto resterà attivo fino agli anni Settanta,” racconta l’episodio, “mentre le figlie Edda e Laura continueranno fino agli anni Duemila, mantenendo viva la tradizione di famiglia.”

Maurizio Tittarelli Rubboli e la rinascita del museo

È stato proprio Maurizio, nipote di Alberto, a raccogliere l’eredità e a decidere di trasformare l’Opificio in un museo aperto al pubblico, grazie al sostegno della Fondazione Perugia, ai fondi europei DOCUP e all’impegno di diverse figure istituzionali gualdesi.

“Era un dovere morale,” racconta Maurizio. “Non volevo che l’eredità dei miei avi andasse perduta. Il museo oggi è un luogo di memoria, di studio e di divulgazione.”

Un’aneddoto curioso

L’episodio di Waldum racconta anche un simpatico aneddoto: dopo la laurea in Lingue a Perugia, Maurizio si trasferisce a Trieste per insegnare. Un giorno, al Caffè San Marco, legge un bigliettino con scritto “Corso di ceramica – O.P.”.

“Pensai che O.P. significasse ‘ore pasti’ e mi presentai all’ora di pranzo,” ride Maurizio. “In realtà stava per Ospedale Psichiatrico: era un progetto di riabilitazione artistica nato dopo la legge Basaglia.”

Quell’esperienza diventa l’inizio di un percorso che lo porta a tornare a Gualdo e a impegnarsi per salvare l’opificio.

Un patrimonio vivo e accessibile

Oggi il Museo Opificio Rubboli è visitabile tutto l’anno e permette di scoprire le fasi della lavorazione: dalla foggiatura alla decorazione, dalla fornace al riverbero, fino alla magia del terzo fuoco.

“È come entrare in una fabbrica di fine Ottocento dove il tempo si è fermato,” spiegano le guide del museo.

Il museo non è solo un luogo di conservazione, ma anche di didattica e promozione culturale, con laboratori, visite guidate e collaborazioni con scuole e università.

Un’eredità che appartiene a tutti

La pubblicazione di questo episodio di Waldum rappresenta un’occasione preziosa per riscoprire un capitolo fondamentale della storia di Gualdo Tadino.

“L’arte del riflesso non è solo un mestiere del passato,” conclude Sara Bossi, “ma un patrimonio identitario che ci parla di creatività, resilienza e comunità.”

Grazie al lavoro di Maurizio Tittarelli Rubboli e al sostegno di tanti, il museo continua a far conoscere al mondo l’eccellenza di una tradizione che ha reso grande il nome di Gualdo Tadino nella storia della ceramica italiana.

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Mario Farneti
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