27 Nov, 2025 - 18:00

In bicicletta fino al Campo Base dell’Everest: l’impresa di Mario Pasquarelli porta Gualdo Tadino sul tetto del mondo

In bicicletta fino al Campo Base dell’Everest: l’impresa di Mario Pasquarelli porta Gualdo Tadino sul tetto del mondo

Dalle colline umbre alle vette himalayane: un sogno a pedali

 

Dalle strade dell’Appennino umbro alle piste polverose del Tibet, fino ai 5.300 metri del Campo Base dell’Everest. È questo il viaggio straordinario compiuto da Mario Pasquarelli, atleta del Gruppo Sportivo Avis di Gualdo Tadino, protagonista a settembre di una spedizione ciclistica che ha portato simbolicamente un pezzo di Umbria sul punto di partenza della vetta più alta della Terra.

Un percorso che va ben oltre la dimensione del turismo sportivo e che si è trasformato in un’esperienza fisica, culturale e profondamente umana, in uno degli scenari più affascinanti e remoti del pianeta. Mille chilometri a pedali tra alture infinite, strade millenarie e silenzi carichi di spiritualità.

La spedizione dei 18 ciclisti italiani nel cuore del Tibet

L’avventura ha preso il via da Lhasa, capitale della Regione Autonoma del Tibet, città sacra al Buddhismo e centro spirituale di oltre un milione di abitanti, situata a 3.650 metri di altitudine. Da qui è partita la carovana composta da 18 ciclisti italiani, accompagnati da uno staff di quattro persone e da un mezzo di supporto.

Alla guida della spedizione c’era Antonio Scarpitti, figura storica del cicloturismo italiano e autentico punto di riferimento per questo tipo di imprese estreme. Un tracciato impegnativo sotto ogni profilo, tanto da rendere quasi incomparabili le quote europee: basti pensare che il Campo Base dell’Everest si trova a un’altitudine doppia rispetto al Passo dello Stelvio, la “Cima Coppi” del ciclismo italiano.

Strade deserte, vento e silenzio: il racconto di Mario

A raccontare le emozioni più autentiche di questa impresa è lo stesso Mario Pasquarelli, rientrato da poco a Gualdo Tadino: «Strade quasi deserte, asfalto imperfetto, il vento come unico compagno di viaggio: nelle immagini registrate durante l’impresa si percepisce la dimensione sospesa di questi luoghi, dove la fatica della pedalata sembra svanire davanti allo spettacolo delle vette himalayane».

Il gruppo ha pedalato da Lhasa verso Tashizong, affrontando una delle strade più severe dell’intero continente asiatico. Da lì, l’ultima, durissima ascesa verso la meta più simbolica: il Campo Base dell’Everest, a quota 5.300 metri, dove l’aria diventa rarefatta e ogni gesto richiede uno sforzo doppio.

Incontro tra sport e spiritualità

L’impresa non è stata solo sportiva. È stata soprattutto un viaggio di incontri. Lungo il percorso, i ciclisti hanno incrociato monaci buddhisti, pastori e abitanti dei villaggi tibetani, che hanno salutato con curiosità e cordialità il passaggio degli italiani.

«Ci accoglievano con un sorriso, con rispetto, spesso pronunciando il nostro “ciao”, la parola italiana più conosciuta in Oriente fin dai tempi di Marco Polo», racconta Pasquarelli.

Un dettaglio che restituisce la dimensione umana del viaggio: la bicicletta come strumento di dialogo tra popoli e culture lontanissime.

La bicicletta donata e un’amicizia che continua

A testimonianza di questo clima di scambio e condivisione, c’è un gesto che ha colpito profondamente l’intero gruppo. La guida tibetana, rimasta affascinata dalle biciclette e dall’entusiasmo degli italiani, ha ricevuto in dono la stessa bike di Mario Pasquarelli.

Un regalo simbolico, carico di significato, che ha suggellato un’amicizia nata lungo la strada. La guida ha promesso che il prossimo anno si unirà al gruppo per una nuova spedizione, a dimostrazione di come lo sport possa davvero diventare linguaggio universale.

Quattro donne in sella e lo spirito del cicloturismo

Tra i 18 partecipanti c’erano anche quattro donne, a conferma di uno spirito inclusivo che anima questo tipo di viaggi. Non agonismo, non competizione, ma resistenza, passione, preparazione e condivisione.

Il cicloturismo estremo, in questo caso, ha mostrato il suo volto più autentico: quello di una disciplina che mette al centro le persone, i paesaggi e le culture, lontano dai circuiti mediatici delle grandi corse.

Il silenzio del Tibet e la musica dei monaci

Uno dei passaggi più suggestivi nel racconto di Pasquarelli riguarda la dimensione interiore dell’esperienza: «In Tibet abbiamo trovato non solo panorami straordinari, ma un silenzio che parla, una spiritualità che accompagna, una musica che rimane nel cuore, quella dei monaci».

Un silenzio che diventa spazio di ascolto, in cui la fatica della pedalata si fonde con la lentezza imposta dall’altitudine e con una percezione del tempo completamente diversa da quella occidentale.

Un primato simbolico per Gualdo Tadino

L’impresa di Mario Pasquarelli consegna anche a Gualdo Tadino un piccolo primato simbolico: aver portato i colori della città fino ai piedi dell’Everest. Non una vittoria sportiva in senso stretto, ma un successo umano, culturale e identitario che arricchisce l’intera comunità.

È la dimostrazione di come da un centro umbro, lontano dai grandi circuiti internazionali, possano nascere storie capaci di attraversare mezzo mondo e raggiungere luoghi che fino a pochi decenni fa sembravano irraggiungibili.

Il valore di un’esperienza che va oltre lo sport

Quella vissuta da Mario Pasquarelli non è solo un’avventura ciclistica. È la sintesi di preparazione atletica, curiosità culturale, rispetto per i luoghi e apertura verso l’altro. Un viaggio che lascia un segno profondo in chi lo compie e che diventa patrimonio condiviso attraverso il racconto.

Un’esperienza che dimostra come la bicicletta, ancora una volta, riesca a unire mondi lontani, a costruire ponti invisibili tra le colline umbre e le cime dell’Himalaya, tra Gualdo Tadino e il tetto del mondo.

 

(Foto: Gualdo News)

AUTORE
foto autore
Mario Farneti
condividi sui social
condividi su facebook condividi su x condividi su linkedin condividi su whatsapp
ARTICOLI RECENTI
LEGGI ANCHE