La Festa dei Ceri è senza dubbio il cuore pulsante della tradizione eugubina, un evento che da secoli coinvolge la comunità locale in un’esperienza di devozione, identità e spettacolo unico. Ma cosa si nasconde dietro questa celebrazione? È davvero solo una festa religiosa in onore di Sant’Ubaldo, oppure affonda le sue radici in un episodio storico di grande rilevanza per Gubbio?
A sollevare questa domanda e a proporre una nuova chiave di lettura è il professor Vincenzo Ambrogi, che in un’intervista al Corriere dell’Umbria, pubblicata oggi, ha delineato una teoria che potrebbe riscrivere la narrazione tradizionale dell’origine della Festa dei Ceri. Secondo Ambrogi, infatti, i ceri potrebbero derivare da macchine da guerra utilizzate nel 1151, durante il celebre assedio delle undici città confederate contro Gubbio.
Un’idea affascinante e allo stesso tempo controversa, che trova il suo fondamento in studi approfonditi e in una serie di analogie storiche che potrebbero gettare nuova luce sulla genesi della festa più amata dagli Eugubini.
Nel 1151 la città fu attaccata e assediata dalla coalizione di undici città e castelli confederati
Il 1151 segna un anno importante per la storia di Gubbio. La città, infatti, si trovò sotto l’attacco di una coalizione di undici città e castelli, guidata da Perugia, con l’intento di annientarla. Della coalizione facevano parte: Città di Castello, Cagli, Sassoferrato, Nocera, Foligno, Spoleto, Assisi, i Conti di Fossato di Vico, i Signori di Coccorano, i Conti di Valmarcola
Secondo le cronache del tempo, Sant’Ubaldo Baldassini, vescovo di Gubbio dal 1128, fu l’artefice della salvezza della città. Non solo per il suo carisma religioso, ma soprattutto per le sue capacità strategiche. Con una città in forte inferiorità numerica – si parla di un rapporto di 14 a 1, se non addirittura 40 a 1 – Ubaldo riuscì a ideare un piano tattico che ribaltò le sorti del conflitto.
L’assedio si concluse con una vittoria inaspettata per Gubbio: l’esercito nemico fu costretto a ritirarsi, lasciando sul campo macchinari d’assedio, armi e strutture. Un episodio che segnò la città per sempre e che potrebbe aver avuto un impatto diretto sulla nascita della Festa dei Ceri.
Secondo Ambrogi la Festa dei Ceri potrebbe essere la trasformazione rituale di un episodio bellico
Secondo Vincenzo Ambrogi, la Festa dei Ceri potrebbe essere la trasformazione rituale di un episodio bellico, in cui le macchine d’assedio nemiche, sottratte agli avversari in fuga, vennero riutilizzate dagli Eugubini come simboli della vittoria.
La tesi si fonda su una serie di elementi:
Il Richiamo alla Battaglia nei Canti e nei Rituali della Festa
- Alcuni canti della sfilata del mattino contengono riferimenti bellici e incitano alla lotta.
- L’alternanza delle mute dei ceraioli ricorda i movimenti di un esercito in battaglia che ruotava gli uomini in prima linea.
- La benedizione "in articulo mortis", impartita prima della corsa, richiama riti di protezione propri dei guerrieri.
Analoghe Tradizioni Militari in Altre Città Medievali
- L’utilizzo di strumenti di guerra come simboli di celebrazione non è un fenomeno isolato: già nel Medioevo esistevano usanze simili in altre città italiane ed europee.
Somiglianze tra i Ceri e le Macchine d’Assedio
- Analizzando le raffigurazioni storiche delle macchine d’assedio medievali e quelle rappresentate sulla Colonna Traiana, emergono impressionanti somiglianze con la forma e la funzione dei ceri.
- Gli arieti d’assedio, utilizzati per sfondare le mura cittadine, avevano una forma verticale allungata e venivano trasportati da gruppi di uomini, proprio come i Ceri.
Secondo Ambrogi, è plausibile che queste strutture, originariamente usate per la distruzione, siano state reinterpretate dalla popolazione eugubina come simboli di unità e rinascita, trasformandole in icone di pace e devozione religiosa.
Secondo la studiosa Anita Seppilli il rito della corsa rappresenterebbe una guerra simbolica
Ambrogi sottolinea come questa teoria non sia del tutto nuova. Già nel 1605, il canonico Carucci fece riferimento alla possibilità che i Ceri celebrassero un’antica vittoria militare. Tuttavia, questa ipotesi venne poi accantonata in favore di una narrazione più strettamente religiosa.
Anche Anita Seppilli, nel secolo scorso, parlò di una possibile funzione sociologica e terapeutica della Festa dei Ceri. Secondo questa visione, il rito della corsa rappresenterebbe una guerra simbolica, una modalità per incanalare l’aggressività della comunità in un evento collettivo strutturato e benigno.
Ambrogi si riallaccia a queste teorie con una nuova analisi basata su documenti storici, raffigurazioni e studi comparati che verrà pubblicata nel prossimo numero del bollettino del Centro di Documentazione e Studio della Festa dei Ceri, curato da Francesco Mariucci.
Se la tesi di Ambrogi fosse accolta, la percezione della Festa dei Ceri subirebbe un’importante evoluzione:
Da semplice festa religiosa a evento storico e simbolico
- La Festa manterrebbe ovviamente la sua profonda devozione a Sant’Ubaldo, ma diventerebbe anche una celebrazione della vittoria eugubina del 1151.
Una rinnovata consapevolezza storica
- I ceraioli potrebbero comprendere e apprezzare il significato ancora più ampio della corsa, vedendola come un’eredità di coraggio e resistenza.
Un nuovo filone di studi sulla Festa
- La teoria potrebbe aprire le porte a ulteriori ricerche e approfondimenti sulla connessione tra riti popolari e avvenimenti storici.
L'ipotesi di Vincenzo Ambrogi rappresenta un'affascinante e audace rilettura della Festa dei Ceri
L’ipotesi di Vincenzo Ambrogi rappresenta una delle più affascinanti e audaci riletture della Festa dei Ceri. Seppur destinata a suscitare dibattito, si inserisce in un percorso di riscoperta delle radici storiche della celebrazione e dell’identità eugubina.
Nel prossimo numero del bollettino del Centro di Documentazione sulla Festa dei Ceri, verranno presentati i dettagli più specifici della ricerca. Nel frattempo, la comunità eugubina si interroga: i Ceri sono davvero eredi di macchine d’assedio trasformate in simboli di pace?
Un’ipotesi suggestiva che, comunque vada, aggiunge un nuovo e intrigante capitolo alla storia della festa più amata dagli Eugubini.