Il campionato entra nella sua fase centrale e il Gubbio si scopre improvvisamente fragile, meno sicuro delle proprie certezze e in cerca di una identità che nelle ultime settimane sembra essersi affievolita. Non è questione di un singolo risultato, non è la sconfitta di Piancastagnaio a fare la differenza da sola. Il problema - più profondo e più complesso - è un trend che dura da oltre un mese e che ha progressivamente eroso entusiasmo, punti e fiducia. Il Gubbio non vince dal 25 ottobre, dal netto 3-0 rifilato al Carpi che allora sembrava il preludio a una risalita convinta. Invece, da quel giorno, sono arrivati cinque pareggi e l’ultima sconfitta, un percorso che ha rallentato la corsa e complicato la classifica.
La squadra ha qualità, la rosa è competitiva, e in diversi momenti della stagione il gruppo di Di Carlo ha dimostrato di potersela giocare con le prime della classe. Ma per rialzarsi servono lucidità, autocritica e un cambio di passo soprattutto nella testa.
Il dato più evidente dell’ultimo mese è la doppia anima degli eugubini. Con le squadre più attrezzate, il Gubbio sembra trasformarsi: intensità più alta, concentrazione massima, coraggio nelle uscite palla al piede. Contro avversari importanti - lo dicono prestazioni e risultati - gli uomini di Di Carlo hanno spesso tirato fuori il meglio, riuscendo a mettere in difficoltà collettivi di vertice.
Al contrario, quando il livello dell’avversario è simile o inferiore, la squadra appare irrigidita, come se l’obbligo di fare la partita fosse un peso e non un’opportunità. È in queste gare che emergono i problemi più strutturali: poca brillantezza nelle seconde palle, lentezza nell’alzare il baricentro, difficoltà a creare occasioni pulite negli ultimi trenta metri.
Gli esempi sono chiari: il pareggio contro il Livorno - gara alla portata, giocata con qualche occasione ma troppo timore - e quello nel recupero con la Juventus Next Gen, un match indirizzato a fine primo tempo ma non chiuso nella ripresa, fino al gol del pareggio dei bianconeri in inferiorità numerica. Due partite che hanno mostrato limiti diversi ma una matrice comune: la fatica nel controllare mentalmente il match quando il peso dell’iniziativa è sulle spalle rossoblù.
L’aspetto tecnico conta, quello tattico pesa, ma la vera questione sembra essere psicologica. Il Gubbio delle ultime gare è una squadra che gioca con il freno tirato, con la paura di sbagliare. Contro la Juventus Next Gen e contro il Livorno la sensazione era chiara: timore di concedere più che volontà di osare. Contro la Pianese, invece, è venuta meno anche la componente emotiva, quella che in passato aveva sempre compensato certe difficoltà di costruzione.
Il campanello d'allarme, più che i pochi tiri creati o la scarsa incisività offensiva, è proprio questo: l’impressione che la squadra si sia bloccata. Dal 3-0 al Carpi che sembrava aver aperto nuove prospettive, è seguito un mese di pareggi in cui mancava sempre “qualcosa”, fino a un passo falso che ha messo in evidenza il bisogno urgente di ritrovare energia, ritmo e fiducia.
La graduatoria oggi dice che il Gubbio è nel mezzo: 18 punti, a -2 dai playoff (Vis Pesaro a quota 20) e con la zona playout a -4. Tradotto: basta un risultato per cambiare prospettive, nel bene e nel male.
Il dato però che fa riflettere è un altro: le vittorie sono appena tre, le stesse di squadre che lottano sul fondo come Pontedera e Bra; hanno fatto peggio solo Perugia (due) e Torres (una), con quest’ultima che sarà la prossima avversaria dei rossoblù. Non è un problema di sconfitte - solo quattro finora - ma di mancanza di affondi decisivi: nove pareggi sono tantissimi, e raccontano di partite spesso controllate ma raramente chiuse, di occasioni non sfruttate e di un atteggiamento forse troppo prudente nei momenti chiave.