23 Jul, 2025 - 12:05

Gubbio, il caso dei tre ascensoristi con partita IVA: l’Ispettorato del Lavoro sanziona Gubbio Cultura per subordinazione mascherata

Gubbio, il caso dei tre ascensoristi con partita IVA: l’Ispettorato del Lavoro sanziona Gubbio Cultura per subordinazione mascherata

“Il rispetto dei diritti dei lavoratori non è un'opzione, ma un dovere”. Con queste parole il Sindaco di Gubbio Vittorio Fiorucci ha concluso la relazione al Consiglio Comunale di ieri 22 luglio sull’esito dell’ispezione effettuata dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Perugia nei confronti di Gubbio Cultura e Multiservizi S.r.l., società interamente partecipata dal Comune. Un’indagine puntuale che ha scoperchiato un sistema di affidamenti verbali, partite IVA obbligate e condizioni lavorative che l’Ispettorato ha definito "subordinate, ma mascherate da autonome".

I punti principali della relazione del Sindaco

1. Affidamenti diretti annuali per la videosorveglianza degli ascensori

“Il Comune di Gubbio, con determine dirigenziali risalenti nel tempo, ha assegnato a Gubbio Cultura il servizio di controllo e videosorveglianza presso gli ascensori”.

Dal 2015 ad oggi, l'affidamento sistematico a Gubbio Cultura del servizio di videosorveglianza degli ascensori pubblici è avvenuto senza alcun bando o procedura ad evidenza pubblica, con semplici determine annuali. Il passaggio continuo e automatizzato di funzioni a una partecipata, pur formalmente lecito, non tutela i principi di concorrenza, trasparenza e rotazione. In questo contesto si inserisce l’ulteriore delega a voce a lavoratori esterni.

Affidare perciò in modo reiterato lo stesso servizio alla partecipata senza valutare alternative è una prassi borderline. Non illegale in sé, ma pericolosamente opaca, specialmente se poi si scopre che la gestione della partecipata stessa è fuori dai binari della legalità contrattuale.

2. Doppio affidamento diretto: dal Comune alla partecipata, e da questa a tre soggetti autonomi senza contratto scritto

“Il servizio di videosorveglianza è stato affidato in modo verbale e diretto a tre lavoratori formalmente autonomi”

La catena si complica: il Comune affida a Gubbio Cultura, e quest’ultima, senza formalizzare alcun contratto scritto, gira il servizio a tre individui che operano come lavoratori autonomi. In realtà, l’Ispettorato chiarisce che l’autonomia era solo formale, mentre nella sostanza si trattava di rapporto di lavoro subordinato, con tanto di turni, ordini, compensi orari e assenza di rischio d’impresa.

Un rapporto verbale in ambito lavorativo, specie nella pubblica amministrazione, è una falla grave. Non solo espone a contenziosi e sanzioni, ma rivela una gestione superficiale e poco attenta della cosa pubblica. Inoltre, la forma verbale lascia ogni potere in mano al datore di lavoro, riducendo a zero le tutele per il lavoratore.

3. Lavoro subordinato “di fatto”: turni, ordini, orari e nessun rischio d’impresa

“I sorveglianti eseguono una prestazione integralmente predeterminata nel tempo, nel contenuto e nello spazio”

Il cuore dell’illecito è qui. L’Ispettorato fotografa una situazione dove i tre operatori, pur formalmente autonomi, lavoravano come veri dipendenti: turni assegnati, orari fissi, compiti ripetitivi, assenza di autonomia organizzativa. In gergo, si tratta di “etero-direzione”, uno dei requisiti fondamentali per qualificare un rapporto di lavoro come subordinato.

L’assenza di rischio d’impresa e la prestazione etero-diretta sono elementi che bastano da soli a demolire ogni pretesa di autonomia. A maggior ragione se — come rilevato — i tre soggetti avevano precedentemente lavorato per Gubbio Cultura come dipendenti nelle medesime mansioni. Una vera “eterogenesi dei fini”: si esce dalla subordinazione solo per rientrarvi dalla porta di servizio, e senza tutele.

4. La partita IVA? Imposta. Nessuna libera scelta

“La forma di piccola impresa è stata determinata unilateralmente da Gubbio Cultura”

Qui il punto diventa etico, oltre che giuridico. L’autonomia professionale era solo un travestimento obbligato, un passaggio forzato per poter continuare a lavorare. Secondo l’Ispettorato, non vi è traccia di autodeterminazione da parte dei lavoratori, ma solo una condizione posta in modo unilaterale dalla società.

L’utilizzo della partita IVA come “gabbia” e non come scelta imprenditoriale è una delle forme più insidiose di sfruttamento moderno. Da strumento di libertà, l’autonomia diventa imposizione. E se a imporla è una società pubblica, il quadro si aggrava, perché l’amministrazione pubblica dovrebbe dare l’esempio.

5. Riqualificazione dei rapporti, sanzioni per evasione contributiva e mancato rispetto dei diritti

“I rapporti sono stati ricondotti nell’alveo della subordinazione. Contestata evasione contributiva e mancato riconoscimento delle ferie retribuite”.

La conclusione dell’ispezione è netta: i rapporti erano a tutti gli effetti subordinati e come tali devono essere trattati. L’ente ha già attivato le procedure di regolarizzazione, e pagherà le sanzioni in forma ridotta. Le violazioni vanno dalla evasione contributiva all’omesso riconoscimento delle ferie, due capisaldi delle tutele lavorative.

La “finta partita IVA” è un trucco che porta vantaggi all’azienda e danni ai lavoratori e all’erario. Qui il danno si moltiplica, perché la società è partecipata dal Comune, quindi ogni omissione è una ferita doppia: alla legalità e al bilancio pubblico. La regolarizzazione è doverosa, ma non cancella anni di irregolarità.

Le contromisure del Comune: sospensione, verifica interna e revisione del rapporto con la partecipata

“Sono state avviate azioni concrete per interrompere le prassi scorrette”.

Il Sindaco, in quanto socio unico della partecipata, ha dichiarato di aver sospeso ogni nuovo affidamento nelle modalità precedenti. Inoltre, ha annunciato una verifica interna sulla governance della società, nonché una revisione generale del rapporto tra Comune e partecipata per riportare tutto all’interno del perimetro normativo.

Le dichiarazioni di intenti sono corrette e doverose, ma arrivano dopo un lungo silenzio operativo. Il punto critico è chiedersi se il Comune fosse all’oscuro di queste prassi o se vi fosse una colpevole tolleranza. In entrambi i casi, la governance della partecipata va ripensata da zero.

Una questione di legalità e dignità

Il caso dei tre ascensoristi con partita IVA non è solo un’anomalia amministrativa. È il sintomo di una cultura distorta del lavoro che, anche nel settore pubblico, tollera forme larvate di sfruttamento pur di tagliare i costi o aggirare gli obblighi di assunzione. L’intervento dell’Ispettorato è stato decisivo per riportare la questione sul piano della legalità e dei diritti.

Il Sindaco ha promesso “azioni concrete, rapide e trasparenti”. Ora occorre vigilare affinché queste parole si traducano in fatti. Perché il lavoro vero merita tutele vere, anche – e soprattutto – quando è al servizio della collettività.

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Mario Farneti
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