Il volto di una politica impegnata, la voce di un’istituzione, trasformata in bersaglio di un’ondata di insulti sessisti e volgarità gratuite. È quanto accaduto alla presidente della Regione Umbria, Stefania Proietti, travolta negli ultimi giorni da un’ondata di attacchi sui social network, spesso mascherati da ironia, ma intrisi di sessismo, volgarità e una violenza verbale che racconta molto dello stato del nostro dibattito pubblico.
L’escalation ha assunto i toni del linciaggio digitale. Meme offensivi, fotomontaggi degradanti, epiteti indegni di un Paese che si definisce civile. Nei commenti si legge di tutto: “Viscida”, “Pinocchia”, fino a oscenità come “con quella faccia da z…”, o insinuazioni sul suo abbigliamento: “Oggi ha la scollatura, ha tolto il collarino da suora. In che mani siamo finiti?”. E ancora: “Questa se era per me stava a casa a lavare i piatti”.
Frasi che feriscono e che suonano come un campanello d’allarme. Non solo per il loro contenuto, ma per la frequenza con cui simili attacchi colpiscono donne impegnate in politica, nel giornalismo, nella cultura, in qualunque ambito pubblico. La violenza verbale è spesso l’anticamera di una cultura misogina che ancora fatica ad accettare la presenza femminile in ruoli apicali. E, come ricorda la stessa presidente, “se questo è il prezzo che una donna deve pagare per il solo fatto di esporsi, allora abbiamo un problema”.
Le parole di Proietti hanno trovato eco nel mondo politico. Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ha espresso la sua totale solidarietà: "Desidero esprimere la mia totale solidarietà alla Presidente della Regione Umbria, Stefania Proietti, vittima di gravi attacchi sessisti sui social, comportamenti assolutamente inaccettabili che devono essere condannati con la massima fermezza. Sono pienamente d'accordo con la Presidente Proietti quando afferma che le donne che si espongono, anche in ambito politico, sono costrette a pagare un prezzo più alto rispetto agli uomini: è fondamentale fare tutti un muro comune per contrastare e respingere questa deriva tossica e pericolosa che nuoce alla nostra società nel suo insieme”.
Un invito che chiama alla responsabilità collettiva. Perché il problema non riguarda solo la singola persona offesa, ma l’intero sistema democratico. Quando una donna viene attaccata per il suo aspetto, per il modo in cui si veste o si esprime, non è solo lei a essere colpita: è la partecipazione, è l’uguaglianza, è la possibilità stessa di una politica libera da stereotipi.
La denuncia non è passata sotto silenzio. È stata la stessa Stefania Proietti a rompere il silenzio pubblicando, sui profili ufficiali della Regione Umbria, un post su Instagram in cui ha mostrato una selezione dei commenti ricevuti. Parole che si commentano da sole: donne ridotte a caricature, svilite nella loro femminilità, derise per l’abbigliamento o il trucco, colpevoli solo di aver scelto di partecipare attivamente alla vita pubblica.
“Io, per fortuna, ho le spalle larghe” scrive Proietti, “ma riguarda le tante giovani donne che stanno pensando, oggi, di impegnarsi in politica. Riguarda le nostre figlie e i nostri figli”. È un appello accorato, civile e potente, che va oltre la difesa personale. La presidente mette in luce il pericolo più grande: scoraggiare una nuova generazione femminile dall’impegnarsi, dall’esporsi, dal partecipare alla vita pubblica.
In un successivo post su Facebook, ha ribadito: “Non cerchiamo scuse. Non cerchiamo giustificazioni. Solo un invito a riflettere. Perché è dal linguaggio che inizia la violenza. È dalle parole che si autorizza la cultura dell’odio, la discriminazione, l’aggressione. E il passo dalle parole ai gesti - anche i più estremi, come i femminicidi - è breve. Terribilmente breve”.
Nel suo sfogo pubblico, Stefania Proietti ha indicato con chiarezza dove comincia il cambiamento: nel linguaggio. Le parole non sono mai neutre. Possono costruire oppure distruggere, includere oppure escludere. E proprio il linguaggio è il primo fronte su cui serve un’azione concreta: nella politica, nei media, nella scuola, nella rete. Serve una nuova consapevolezza, che parta dall’alto ma arrivi anche alle nuove generazioni.
“Abbassiamo i toni. Ricominciamo a dare un valore alle parole” scrive la presidente. “Diciamo insieme che no, non è normale. Non deve essere tollerato. Che una donna non può, non deve, essere insultata o derisa solo perché fa politica, solo perché è libera, solo perché è donna”.