Dietro ogni grande stilista, c’è un telaio che tesse nell’ombra. E nel caso di Giorgio Armani, quel telaio batteva il tempo tra le colline umbre, dove la maglieria artigianale ha scritto una delle pagine meno note — ma più eleganti — della storia della moda italiana.
Siamo nei ruggenti anni ’50, ma al posto del jazz c’è il rumore secco dei telai. A Santa Maria degli Angeli, la famiglia Ciai fonda ICAP: Industria Creazioni Angora Perugia. Un nome che già suona come un cartellino cucito sul colletto di un capo sartoriale.
A guidare l’azienda, un giovanissimo Fernando Ciai, che ancora studente prende in mano l’impresa e cambia marcia. Da semplice produzione di capi in lana d’angora, ICAP si trasforma in un laboratorio sperimentale del prêt-à-porter. Ed è lì, tra trame e orditi, che il destino di Giorgio Armani prende forma.
È negli anni ’70 che ICAP incrocia la strada di un giovane Giorgio Armani, già animato da un gusto sobrio e rivoluzionario. La società umbra acquisisce le licenze per produrre i suoi capi in maglia: nasce così una collaborazione che durerà 24 anni, secondo i dati della Camera di Commercio di Perugia.
Nelle fabbriche umbre vedono la luce i primi maglioni firmati Armani: linee pulite, tagli essenziali, filati pregiati. E non è solo moda, è filosofia. Anche Emporio Armani, la linea dedicata ai giovani, nasce tra Perugia e dintorni: un laboratorio diffuso che cuce stile e territorio.
Per capire il legame tra Armani e l’Umbria bisogna andare oltre l’etichetta. La regione, storicamente votata al tessile sin dal Medioevo, conosce nel XX secolo un’esplosione creativa grazie a figure come Luisa Spagnoli e una rete di imprese che sposa artigianalità e innovazione.
Negli anni ’70 e ’80, l’Umbria diventa calamita per i grandi marchi internazionali: Dior, Gucci, Balenciaga, Hermès… tutti vogliono quella maglia perfetta, fatta con mani che conoscono il mestiere e un’attenzione al dettaglio che sa di bottega rinascimentale.
Figura chiave di questo sodalizio è proprio lui: Fernando Ciai, l’uomo che vide lontano. Fu lui a intuire che il futuro non era più solo nell’haute couture, ma nel prêt-à-porter elegante e democratico. Con Armani al suo fianco, Ciai porta la produzione di maglieria e intimo griffato in Umbria, trasformando ICAP in un simbolo di qualità e innovazione.
L’intimo Armani prodotto da ICAP diventa un caso industriale: minimal, raffinato, eppure accessibile. Da lì in poi, la strada era aperta per molte altre collaborazioni. E per l’Umbria, la moda non era più solo una questione estetica: era un motore economico.
Una curiosità quasi da romanzo storico: secondo alcune ricerche genealogiche, il cognome Armani potrebbe affondare le sue radici nel contado perugino, derivando dagli Armano, nobili locali del Medioevo. Sarà vero? Le fonti sono scarse, ma il fascino dell’ipotesi è sufficiente per aggiungere un tocco di mistero nobiliare a una storia già ricca di eleganza.