Il nuovo assetto dei Giardini Piccoli, progettato dalla precedente giunta Stirati ed eseguito oggi dalla giunta Fiorucci, divide l’opinione pubblica. Confronto tra identità storica, scelte estetiche e impatto agronomico. «Si poteva intervenire rispettando meglio lo spirito originario».
Il recente intervento sui cosiddetti Giardini Piccoli di piazza Quaranta Martiri ha acceso il dibattito in città. Il progetto, approvato durante la precedente giunta Stirati e oggi portato a compimento dall’amministrazione Fiorucci, ha introdotto un nuovo linguaggio estetico fatto di materiali moderni – acciaio corten, pavimentazione continua e panchine in calcestruzzo monoblocco – suscitando reazioni contrastanti.

Il nodo centrale non è se i giardini dovessero essere restaurati, ma come. Personalmente, non mi oppongo alla conservazione o alla reinterpretazione del patrimonio storico, a patto che si rispetti il contesto originario, lo spirito con cui quel luogo è stato concepito e la sua identità ottocentesca. È proprio qui che nasce il dubbio: questo intervento rinnova o sostituisce?
Per chiarire gli effetti estetici e agronomici delle scelte compiute, mi sono rivolto a un esperto di arredo urbano con competenze agronomiche, che ha analizzato l’intervento sotto i profili tecnici, paesaggistici e botanici.
Una delle modifiche più rilevanti riguarda la pavimentazione: il tradizionale brecciolino drenante è stato sostituito da una superficie continua di colore ocra, stesa su una base cementizia.
L’esperto spiega:
«Si tratta verosimilmente di una micropavimentazione cementizia pigmentata o di una resina a base minerale, una soluzione oggi comune nelle riqualificazioni urbane. Tuttavia, rispetto al breccino storico, questa scelta riduce la traspirazione del suolo, impedisce la naturale infiltrazione dell’acqua e aumenta la riflessione del calore, con possibili effetti di stress sulle radici superficiali delle alberature e sui microclimi estivi».

Il passaggio da una pavimentazione naturale e permeabile a una rigida e continua non è quindi neutro: modifica le condizioni idriche, termiche e percettive dell’area.
Altro tema discusso è l’uso del corten, impiegato per bordare le aiuole. Su questo l’esperto è chiaro:
«Il corten non taglia le radici di per sé. Il problema non è il materiale, ma la posa: se inserito in superficie come bordo visivo, non crea danni. Se infisso troppo in profondità, può interferire con l’espansione radicale e recidere radici attive, alterando l’equilibrio vegetativo degli alberi».
Il vero interrogativo è quindi se l’intervento abbia rispettato l’apparato radicale storico o se abbia introdotto barriere sotterranee invasive.
Le panchine in calcestruzzo sagomato hanno un forte impatto visivo. Sono elementi modernisti, geometrici, simili a quelli utilizzati nei waterfront contemporanei o nei piazzali di nuova costruzione.
Il problema emerge se le si confronta con i Giardini Grandi ottocenteschi, adiacenti all’area, dove dominano panchine in pietra, curve armoniche, massi rocciosi decorativi e alberature monumentali.
L’esperto sottolinea:
«Le nuove sedute appartengono a un vocabolario estetico internazionale che si adatta meglio a piazze moderniste che a giardini storici ottocenteschi. Inserite senza un legame morfologico o materico con le sedute esistenti, possono risultare percepite come corpi estranei più che come evoluzione coerente dell’identità del luogo».

Non si tratta di opporsi al nuovo per principio, ma di interrogarsi sul metodo: è stato effettuato un restauro conservativo reinterpretativo oppure una riscrittura totale dello spazio pubblico?
La domanda centrale è se si è scelto di dialogare con l’esistente o di rimuoverlo. Nel caso dei Giardini Piccoli, la sensazione è quella di una frattura stilistica, più che di una continuità reinterpretata.
Sì, esistevano alternative. Un restyling coerente avrebbe potuto:
Avremmo così ottenuto non una rottura, ma una continuità evolutiva, in cui il presente si appoggia sul passato per restituire al luogo la sua anima, non solo una sua immagine aggiornata.
Non si tratta solo di materiali o stili, ma di identità urbana e memoria collettiva.
Chi attraversa i giardini pubblici non cerca solo un passaggio, ma un luogo di riconoscimento e appartenenza.
Questo intervento — ereditato dalla giunta Fiorucci da un progetto nato sotto la giunta Stirati — va ora interpretato e monitorato nella sua capacità di integrarsi con il tessuto culturale della città.

Il punto è capire se sarà percepito come rinnovamento dialogante o come sostituzione stilistica, e se, alla luce della reazione dei cittadini, si potrà in futuro riadattarlo per renderlo più fedele all’identità del luogo.
Perché il vero restauro non impone: interpreta. E fa parlare il passato nel linguaggio del presente, senza fargli perdere la voce.