Nel cuore di Manhattan, sulla 23esima strada, ha aperto i battenti un locale che promette di cambiare il modo in cui gli americani intendono il gelato. Dietro il bancone, però, non c’è una multinazionale né una startup dal marketing aggressivo, ma Patrizia Pasqualetti, maestra gelatiera originaria di Castel Viscardo, un borgo umbro che di solito non compare sulle mappe gastronomiche internazionali. La sua ultima impresa, firmata "Eataly by Patrizia Pasqualetti", non è solo l’ennesima gelateria italiana all’estero: è il tentativo ambizioso di esportare un'intera filosofia del gusto.
Il progetto non nasce a tavolino, ma nel solco della memoria. "È il mio modo di onorare ciò che mio padre Giuseppe ha fatto nel nostro piccolo paese dell’Umbria", racconta Pasqualetti all'ANSA. Le coppe gelato, un tempo cavallo di battaglia della bottega di famiglia, sono state reinventate per il mercato americano: stesse ricette, nuovi contenitori dal design curato, e un racconto che punta sulla continuità più che sulla nostalgia. "Quelle coppe che hanno segnato l'infanzia di tanti clienti oggi si possono gustare a New York" – aggiunge –, "in una gelateria con tavolini, servizio e un'identità tutta sua. È una rivoluzione per il mercato statunitense, ma nel segno della continuità".
Portare il gelato italiano in America non significa solo vendere un prodotto, ma introdurre un intero modo di pensare al cibo. La cultura delle coppe gelato, per esempio, è completamente assente negli Stati Uniti, dove dominano i coni da passeggio e i vasetti industriali. Pasqualetti lo sa bene, ma ha scelto comunque di rilanciare: "Le coppe in America non esistono come da noi in Italia" – spiega – "e qui le sto rilanciando con orgoglio, mantenendo il racconto italiano ma adattandomi con rispetto al territorio".
Il suo gelato nasce da ingredienti in gran parte locali, acquistati direttamente nelle farm americane, ma non rinuncia a eccellenze italiane: "Uso per l'80% ingredienti americani, ma continuo a importare, ad esempio, il pistacchio siciliano, che cresce sulla lava e si raccoglie ogni due anni". Un dettaglio che racchiude tutta la visione dell’imprenditrice: valorizzare ciò che il territorio offre, ma custodire con cura ciò che rende unico il made in Italy.
Nelle gelaterie Pasqualetti, la produzione è a vista. Una scelta che parla di fiducia, artigianalità e didattica del sapore. Ogni fase della lavorazione può essere osservata dai clienti, che vengono coinvolti non solo nel consumo, ma anche nella comprensione di ciò che stanno gustando. "Insegno ai miei ragazzi la memoria del gusto, la lavorazione della frutta, la riduzione dello zucchero. E in laboratorio tutto è a vista: non abbiamo segreti", afferma la gelataia umbra.
Il messaggio è chiaro: il gelato non è solo un dessert, ma un sapere. E, come tale, va trasmesso. Lontano dalle scorciatoie industriali e dai surrogati sintetici, Pasqualetti difende un'idea di artigianalità che resiste persino all’avanzata dell’intelligenza artificiale: "Il mio gelato non nasce da un algoritmo" – ha sottolineato – "ma da anni di ascolto, esperienza, dedizione. L’intelligenza artificiale non potrà mai replicare l’anima di un gusto".
Con cinque sedi aperte tra East e West Coast – da Boston a Los Angeles, da San José a New York – l’impresa americana di Pasqualetti impiega oggi oltre 30 dipendenti. Ma i numeri sono solo una parte della storia. Il vero successo sta nell’aver costruito un modello che unisce radici e visione, tradizione e adattabilità. In un mercato spesso dominato dal marketing e dai surrogati digitali del sapore, le sue coppe diventano piccoli atti di resistenza culturale.