La riorganizzazione doveva essere il doloroso passaggio per rilanciarsi. O invece era solo il primo, sottile cuneo di una scelta più radicale? Il dubbio, amaro e pesante, serpeggia ora nei reparti dello stabilimento Forvia-Faurecia di Terni, multinazionale dell’automotive. A esprimerlo con forza sono la Rappresentanza Sindacale Unitaria (Rsu) interna e la segreteria provinciale della Fiom-Cgil, che lanciano un grido d’allarme sul destino dell’azienda dopo gli oltre 50 esuberi del 2024. Un allarme che si trasformerà in protesta pubblica venerdì 28 marzo, quando i metalmeccanici in sciopero scenderanno in presidio sotto la sede di Confindustria a Terni, per il rinnovo del contratto nazionale. La paura è che, superata la fase acuta della crisi, per il sito umbro non ci sia un vero domani, ma solo un lento e inesorabile ridimensionamento.

Il cuore della preoccupazione sindacale batte attorno a un dato concreto: l’assenza di prospettive. “A fronte di un portafoglio ordini che vede solo progetti di serie già in essere, come Iveco e Ferrari, non vi è alcuna certezza rispetto a nuovi progetti”, spiegano Rsu e Fiom. La fotografia che restituiscono è quella di uno stabilimento che rischia di essere progressivamente emarginato dalle strategie del gruppo, relegato a mero produttore di ricambi per vetture alla fine del loro ciclo vitale. Una condizione di precarietà strutturale, senza sbocchi.
Ma l’analisi va oltre, toccando un nervo scoperto della transizione industriale. I sindacati denunciano un “diniego preciso” dell’azienda rispetto a nuovi investimenti e riconversioni, anche in settori promettenti e strategici per il territorio come quello degli autobus alimentati a idrogeno. “Una filiera che avrebbe potuto essere in buona parte racchiusa all’interno del territorio umbro, configurando una notevole strategicità”, sottolineano, lasciando trapelare la frustrazione per un’occasione persa. La sensazione è che il corporate guardi altrove, lasciando Terni al suo destino.
La tensione è amplificata dalla gestione della forza lavoro. Secondo le organizzazioni, proprio ora che gli obiettivi della ristrutturazione sono raggiunti, l’azienda sembrerebbe intenzionata a riaprire la cassa integrazione ordinaria. Una mossa che, nelle previsioni sindacali, nasconde un pericolo: “L’evidente rischio di terminarla in tempi relativamente brevi e di lasciare i lavoratori senza ulteriori ammortizzatori sociali nei prossimi mesi”. Uno scenario che getta ombre lunghe sul futuro di decine di famiglie.
Per questo, la richiesta al management è netta: verifiche immediate. “Nei prossimi giorni verificheremo la disponibilità unitaria a chiedere un confronto all’azienda per verificare lo stato dell’arte e chiedere impegni concreti sul piano industriale”, annunciano. Impegni che vorrebbero anche simbolici, come “il rinnovo del contratto di affitto del capannone” dove sorge lo stabilimento, a dimostrazione di una volontà di permanenza. “Ci aspettiamo che gli impegni presi sul piano industriale non siano rimessi in discussione”, avvertono, ricordando gli accordi sottoscritti negli anni passati.

Il malcontento troverà uno sfogo collettivo venerdì 28 marzo. La mobilitazione per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici coinciderà con la protesta specifica dei dipendenti Forvia-Faurecia. Alle 10, il presidio sotto Confindustria a Terni sarà il palcoscenico per un disagio che è insieme locale e nazionale. Nella piattaforma unitaria, infatti, accanto alle rivendicazioni salariali, campeggia anche la richiesta di una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario per i comparti in crisi come l’automotive.
Un barlume di speranza potrebbe arrivare dall’annuncio di un tavolo regionale sul settore auto. Le sigle sindacali ternane lo accolgono positivamente, ma con un’urgenza dettata dalla paura che il tempo stia per scadere: “Auspichiamo che l’annuncio si trasformi il prima possibile in una data, in cui si cominci effettivamente ad affrontare le problematiche del settore, in considerazione del fatto che, anche nel migliore dei casi, la discussione partirà scontando comunque un ritardo di anni”. Per Terni e per la sua fabbrica, ogni giorno che passa senza risposte rischia di essere un giorno in più verso il baratro.