La realtà contemporanea, secondo Giulio Tremonti, assomiglia sempre più a un “Titanic progettato dai tecnici”, un’immagine forte attraverso cui il presidente della Commissione Affari esteri della Camera dei deputati descrive la fragilità del modello di globalizzazione teorizzato e promosso negli ultimi trent’anni. Un modello che, nella sua visione, si sta incrinando sotto il peso dei mutamenti geopolitici, economici e culturali che stanno attraversando il mondo. Tremonti è intervenuto su questo tema alla 32ª conferenza su Etica ed economia, organizzata da Nemetria nell’Auditorium San Domenico di Foligno: un appuntamento che da oltre tre decenni rappresenta uno dei luoghi privilegiati di confronto su trasformazioni sociali, sviluppo, responsabilità pubblica e scenari globali.
Il dibattito di questa edizione si è concentrato sulle conseguenze della fine dei grandi disegni di sviluppo dell’umanità, quegli orizzonti condivisi che nel Novecento avevano ispirato modelli politici, economici e sociali. Oggi, hanno ricordato i relatori, ci si trova invece in un mondo caratterizzato dal prevalere della forza militare, degli interessi economici e dell’immediatezza con cui si impongono decisioni e poteri. A farne da sfondo ci sono i numerosi conflitti che attraversano il pianeta: dall’invasione russa dell’Ucraina ai fronti aperti in Medio Oriente, fino alla guerra civile in Sudan, tutti segnali di un sistema internazionale sempre più frammentato e incapace di trovare soluzioni condivise.
In questo contesto si inserisce la riflessione di Andrea Riccardi, presidente della Società Dante Alighieri e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, che ha richiamato l’attenzione sulla progressiva e pericolosa perdita della memoria storica. Senza memoria, ha sostenuto Riccardi, le società rischiano di muoversi verso “un futuro cieco”, incapaci di imparare dalle tragedie e dai successi del passato. “Sono tramontate -ha osservato- le tensioni al dialogo, al lavoro diplomatico, alla costruzione di un mondo più unito che erano maturate alla fine della Seconda guerra mondiale”. Una fase storica nella quale si era creduto possibile edificare un ordine internazionale fondato sulla cooperazione e sulla prevenzione dei conflitti, un obiettivo che oggi sembra sempre più distante. Riccardi ha insistito, come riportato in una nota degli organizzatori, che “l’unica via per la salvezza è scegliere la forza della ragione al posto di quella delle armi”, riaffermando il valore del negoziato, della mediazione e della cultura della pace.
Il tema della sicurezza è stato affrontato anche da Angelo Maria Petroni, professore ordinario alla Sapienza di Roma e vicepresidente di Nemetria. Petroni ha sottolineato come il mutato scenario geopolitico -con gli Stati Uniti sempre più concentrati sull’area del Pacifico e meno sulla gestione degli equilibri europei- imponga all’Europa di dotarsi di una difesa autonoma, credibile e stabile. Secondo il docente, servono investimenti significativi in tecnologia, risorse e personale qualificato, oltre a un coordinamento politico più solido tra gli Stati membri. Ma Petroni ha anche messo in guardia da un rischio: quello di trasformare le armi da strumenti di protezione in strumenti di orientamento delle scelte politiche. “La vera sfida -ha affermato- è far sì che le armi restino strumenti per garantire la sicurezza dei cittadini e non guide che determinano la direzione della nostra storia”.
A teorizzare la fine dell’ideologia della globalizzazione è stato proprio Tremonti, che da tempo osserva con senso critico i limiti strutturali del sistema economico internazionale. “Per trent’anni -ha dichiarato- ci hanno detto che il mondo globale era globalizzato in modo perfetto, ma in realtà si sta rivelando un po’ il contrario”. La promessa di un mercato mondiale totalmente integrato, capace di generare prosperità diffusa, si è scontrata con la realtà di nuove barriere, competizioni strategiche, vulnerabilità tecnologiche e conflitti regionali che hanno messo a nudo la debolezza delle reti globali.
Nel suo intervento, Tremonti ha offerto una lettura storica e geopolitica di lungo periodo, paragonando il presente a un’altra fase di profondi cambiamenti: il passaggio epocale del Cinquecento. È in quel contesto che Shakespeare, nell’Amleto, pronuncia la celebre frase Time is out of joint -“il tempo è fuori dai cardini”- per descrivere un mondo che avverte la propria instabilità. La stessa sensazione, sostiene Tremonti, attraversa oggi le società contemporanee, chiamate a confrontarsi con trasformazioni altrettanto dirompenti.
Tra queste, il presidente della Commissione Affari esteri ha citato l’ascesa economica e politica della Cina, che ha cambiato gli equilibri mondiali con una rapidità senza precedenti; la transizione dalla carta alla rete, che ha modificato non solo la comunicazione ma l’intero funzionamento delle democrazie e dei mercati; il rischio concreto di una nuova crisi finanziaria globale, legata alle interdipendenze del sistema economico; e infine la guerra che, partendo dall’Est europeo, coinvolge un’area sempre più vasta del continente.
“Anche oggi siamo in un Mundus Furiosus -ha concluso Tremonti- ma l’umanità ce la fa sempre”. Una riflessione che, pur riconoscendo la gravità delle sfide attuali, lascia spazio a un cauto ottimismo e alla possibilità che nuove forme di cooperazione e di responsabilità possano emergere anche in un mondo attraversato da tensioni e instabilità.