È stato presentato il 1° giugno 2025 nella Sala Trecentesca di Palazzo Pretorio il Breve dell’Arte dei Merciai, a cura della Famiglia dei Sangiorgiari di Gubbio: un’opera tanto concisa quanto densa di significato, che raccoglie statuti, regolamenti e consuetudini di un’arte fondamentale per l’economia eugubina dal Medioevo in avanti.
A sottolinearne l’importanza, è intervenuto lo storico Euro Puletti con un approccio “collaterale, se non proprio accidentale”, come lui stesso l’ha definito con ironia. Il suo contributo ha avuto il merito di allargare lo sguardo: dal centro storico di Gubbio al territorio finitimo di Costacciaro, in un gioco di rimandi tra produzione e commercio, tra ferro, acqua e mercanzia.
“Quest’opera, per quanto breve, è un vero e proprio spaccato di storia, costume e tradizione. Una sintesi densa di secoli. Multum in parvo, direbbero i latini”, ha affermato Puletti con entusiasmo.
Nel suo intervento, Puletti ha illustrato la storia poco conosciuta, ma affascinante, di Villa Scirca, oggi frazione tra i comuni di Costacciaro e Sigillo, un tempo castello strategico del Comitatum Eugubinum, al confine con il territorio perugino. Al centro del racconto: la forza idraulica della sorgente Scirca, una delle più potenti dell’Appennino umbro-marchigiano, e la sua capacità di alimentare per secoli un polo pre-industriale legato all'estrazione del ferro.
“La sorgente Scirca, oggi scomparsa, dava origine a un corso d’acqua imponente, il ‘flumen Schircae’. Un fiume vero e proprio, che permise l’impianto di ferriere già nel Cinquecento”, ha spiegato lo storico.
Nel 1551, fu il nobile eugubino Giovan Battista di Matteo Ceccoli a impiantare una ferriera lungo il torrente Scirca. Una scelta che si rivelò lungimirante, alimentata dal ferro estratto dal Monte Cucco, dove già in epoca protostorica – ha ricordato Puletti – si ricavavano minerali ferrosi in grotte utilizzate dall’uomo preistorico.
“Durante un’esplorazione speleologica, abbiamo trovato inclusi ferrosi e frammenti ceramici databili dall’età del Bronzo fino al Medioevo. Era una miniera viva da millenni”, ha detto, evocando le sue esperienze da speleologo.
Il ferro del Monte Cucco era però di bassa qualità, e la produzione si esaurì in breve tempo. Nonostante ciò, lo Stato Pontificio tentò più volte di rilanciare le ricerche nel Seicento, coinvolgendo anche tecnici stranieri.
Nel Seicento, la ferriera passò ai Conti Galeotti di Gubbio, che la trasformarono prima in ramiera, poi in zeppiera per lo Stato Pontificio. La trasformazione industriale non si fermò lì: tra Settecento e Ottocento, la struttura divenne il Maglio Vecchio di Villa Scirca, attivo fino ai primi decenni del Novecento e gestito dalla famiglia Antinucci.
“Produceva caldaie, pignatte, utensili in rame. Era un’officina sincopata, animata da un gigantesco martello, il ‘maglio’, che batteva ritmicamente sul metallo”.
Parallelamente, le antiche strutture idrauliche come i mulini medievali vennero riconvertite in gualchiere per la follatura dei panni e poi in cartiere, fino alla nascita della Cartiera Colini, una delle più importanti dell’Italia centrale, seconda solo a quella di Fabriano.
A questo punto del suo intervento, Puletti ha ricollegato la produzione di Villa Scirca all’attività dei merciai eugubini, protagonisti del Breve presentato. Questi commercianti dettagliavano merci minute: ferri, chiodi, chiavi, spille, campanelle, scatole, oggetti di carta. Erano i venditori dell’essenziale, dei piccoli strumenti che tenevano in piedi le case, le botteghe, la vita quotidiana.
“Leggendo l’elenco di ciò che avevano sui banchi, si resta stupefatti: c’era davvero tutto. I merciai erano gli Amazon del Medioevo, venditori infaticabili di ogni tipo di minutaglia utile”.
Non è quindi azzardato pensare che una parte consistente del loro rifornimento provenisse proprio da Villa Scirca: non solo ferro e rame, ma anche oggettistica in carta e perfino cesti intrecciati.
Puletti ha poi evocato un’altra economia minore ma significativa: quella della cesteria artigianale, sviluppata nella piana umida di Villa Scirca. Qui, grazie alla vegetazione tipica – salici, vitex, carici – si producevano oggetti intrecciati: cesi, crinelle, contenitori per fieno, formaggi, granaglie.
“Da qui il termine dialettale ‘scarzare’, che significa ‘intrecciare’, sopravvissuto nella lingua locale. Un’eredità linguistica e materiale che testimonia una sapienza antica”.
Anche questi oggetti, per forma e funzione, erano beni commerciabili, potenzialmente venduti nelle botteghe e sulle bancarelle dei merciai.
L’intervento del professor Puletti si è chiuso con un invito a rileggere la storia eugubina non come un racconto chiuso su se stesso, ma come una rete di connessioni territoriali, economiche e culturali. Il Breve dell’Arte dei Merciai si colloca all’interno di questa rete, come testimonianza di un sistema commerciale intelligente e diffuso, capace di integrare risorse diverse e territori anche lontani.
“Il polo pre-industriale di Villa Scirca, sebbene oggi dimenticato, fu per secoli un nodo di produzione strategico. E i merciai eugubini ne furono probabilmente tra i principali distributori”.
In conclusione, il Breve dell’Arte dei Merciai – pur nella sua forma condensata – assume, alla luce di questi legami, una rilevanza storica ed economica ancora più ampia. Grazie al lavoro di ricerca e divulgazione della Famiglia dei Sangiorgiari e al contributo appassionato di studiosi come Euro Puletti, si riscopre la vitalità di una storia minuta, fatta di ferri e cesti, di pignatte e cartigli, di merci minute ma fondamentali.
Una storia che ci ricorda quanto ogni oggetto – anche il più piccolo – abbia un’origine, un luogo, una cultura. E quanto la memoria collettiva abbia ancora molto da dire, a patto di saperla ascoltare.