Mentre giovani e famiglie lasciano la città, in Consiglio comunale si litiga per ore su simboli religiosi. Una battaglia ideologica che divide e distoglie dai veri problemi di Gubbio: lo spopolamento, la crisi economica, la mancanza di prospettive per le nuove generazioni.
La vicenda dell’ordine del giorno per l’esposizione del crocifisso in aula consiliare si è trasformata in un caso politico nazionale in miniatura, alimentando per giorni il dibattito dentro e fuori le mura di Palazzo Pretorio. Ma la verità è che, al netto delle posizioni ideologiche e delle schermaglie verbali, il Consiglio comunale di Gubbio ha impiegato oltre due ore per discutere un tema che non risolve nessuno dei problemi reali della città.
A proporre l’iniziativa era stato Luigi Girlanda di Rinascimento Eugubino, sostenuto da Rocco Girlanda e Diego Guerrini. A favore solo loro tre. Contro ben 18 consiglieri, con un solo astenuto – il presidente Mattia Martinelli – e l’assenza strategica di Adele Martinozzi (FdI).
Un ordine del giorno che, pur partito da una proposta relativamente semplice, ha finito per diventare un terreno di scontro ideologico e un boomerang politico. Con tanto di lettera ai vertici nazionali di partito e un effetto finale che ha visto la destra di governo (quella vicina a Fiorucci) convergere con parte dell’opposizione, in un’inedita e fragorosa bocciatura del simbolo religioso.
Tra i più netti nel motivare il voto contrario, il gruppo consiliare di Gubbio Città Futura, rappresentato da Leonardo Nafissi, Jacopo Cicci e Federica Cicci. Tutti consiglieri di prima nomina, tutti chiaramente contrari alla proposta fin dalla commissione, dove avevano preferito astenersi per non innescare la polemica, sperando che il tema venisse accantonato.
“Quando la proposta è diventata un teatrino politico – ha spiegato il consigliere Jacopo Cicci – la nostra risposta è stata ferma: un no chiaro e consapevole. Il nostro voto non è contro il crocifisso, ma contro l’imposizione della sua presenza in un luogo istituzionale che deve rappresentare tutti.”
Un messaggio chiaro, che ha voluto smontare la narrazione secondo cui l’opposizione al simbolo sarebbe un attacco alla fede religiosa.
“Non vediamo – ha proseguito Cicci – come questo possa migliorare la vita degli eugubini. Le famiglie emigrano, le attività chiudono, le strade sono piene di buche e la scuola fatica. Ma noi perdiamo ore a parlare dei muri del Consiglio.”
La polemica ha avuto il merito, se così si può dire, di illuminare il contrasto tra la realtà quotidiana degli eugubini e l’agenda politica di chi li rappresenta. Gubbio è oggi una città che sta perdendo abitanti, dove i giovani cercano altrove opportunità che il territorio non riesce più a garantire, e dove interi quartieri e frazioni, come Carbonesca, Colpalombo o Torre dei Calzolari, lottano per avere ancora una farmacia, una scuola, un autobus.
Il centro storico si svuota, i borghi diventano silenziosi, eppure in aula si litiga sull’esposizione di un simbolo, che nulla dice – nel merito – su come affrontare queste emergenze.
La politica locale, ancora una volta, preferisce il simbolico al concreto, l’identitario al sociale.
“Ci chiediamo com’è possibile – scrive Città Futura – che si trovi voce e tempo per discutere di crocifissi, mentre si tace sulle condizioni delle scuole, sulla sanità che arretra, sul caro bollette, sul precariato giovanile.”
La replica di Rinascimento Eugubino non si è fatta attendere. In una nota durissima, il gruppo ha accusato Città Futura di vergognarsi della propria decisione, e di tentare goffe giustificazioni postume per rimediare all’imbarazzo creato tra l’elettorato cattolico.
“Excusatio non petita, accusatio manifesta. Chi torna a spiegare il proprio voto dimostra di non esserne convinto”, scrive il gruppo di Girlanda. “La nostra proposta era semplice, lineare, senza connotazione religiosa. Il crocifisso è simbolo di identità culturale. Ma chi ha votato contro ha preferito giudicare le intenzioni anziché valutare il merito.”
E ancora: “Il vero dramma è l’alleanza, ormai sistematica, tra Gubbio Futura e la finta destra di governo. Una convergenza che ha portato a rifiutare un simbolo che è parte della nostra storia e cultura. Ai posteri l’ardua sentenza.”
Un altro elemento rilevante della vicenda è stata la frattura interna al centrodestra.
Mentre Luigi Girlanda ha provato a riportare in aula un tratto identitario tipico della destra nazionale, la maggioranza guidata da Vittorio Fiorucci ha votato compatta contro, prendendo platealmente le distanze da Rinascimento Eugubino.
Nel frattempo, anche nel centrosinistra non sono mancati distinguo e toni accesi.
La consigliera Simona Minelli (LED) ha ricordato, durante il dibattito, che l’obbligo di esposizione del crocifisso risale al ventennio fascista, con un richiamo implicito al clerico-fascismo, e che le sentenze della Corte Costituzionale non si applicano alle aule consiliari, dove la discrezionalità è piena.
All’opposto, la consigliera Adele Martinozzi (FdI), pur assente al voto, ha auspicato in dichiarazioni successive un ritorno a un’esposizione obbligatoria per legge, evidenziando quanto il tema sia tutt’altro che risolto anche all’interno delle stesse forze politiche.
In una città che ha smesso da anni di attrarre nuove famiglie, dove le nascite calano e i giovani non trovano lavoro né case accessibili, discutere per due ore del crocifisso appare non solo anacronistico, ma profondamente fuori dalla realtà.
“Il crocifisso è una presenza diffusa e rispettata nelle case, nei luoghi di culto, nei cuori di molti. Ma le istituzioni dovrebbero occuparsi di ponti da costruire, non di muri da arredare,” ha commentato un cittadino sui social.
In verità nel Vangelo di Matteo (18:20) si legge : "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono lì in mezzo a loro". Se non è più vivo questo sentimento tra gli eugubini, a poco serve il corcifisso in aula consiliare.
La vicenda ha mostrato nella realtà quanto sia urgente un cambio di passo nella politica locale. I cittadini non chiedono croci o ideologie, chiedono scuole sicure, ospedali efficienti, lavoro stabile, case accessibili, servizi nelle frazioni, trasporti che funzionano.
Gubbio ha bisogno di essere riportata al centro delle politiche regionali, ha bisogno di guardare al futuro, di trattenere i suoi giovani, di ricostruire comunità dove oggi ci sono solo silenzi.
Il crocifisso, al di là delle convinzioni personali, non risolve nulla di tutto questo, soprattutto se non è più vivo nel cuore della gente.
E mentre in aula si accendeva la polemica, fuori si spegneva un’altra luce in una bottega del centro. Ai cittadini il compito di ricordarlo. Ai consiglieri, quello – forse – di cambiare rotta.