La prima edizione di “Ciccia – L’Italia in 20 Salsicce”, evento gastronomico che ha animato il centro storico di Gubbio per tre giorni, ha lasciato dietro di sé un dibattito acceso. Se da un lato l’iniziativa ha registrato un buon coinvolgimento tra degustazioni, musica e percorsi diffusi nelle taverne storiche, dall’altro il comunicato finale dell’organizzazione ha scatenato polemiche, soprattutto per l’affermazione secondo cui “circa 40.000 persone hanno partecipato nei tre giorni”.
A intervenire con toni particolarmente duri è stata la lista civica di opposizione Liberi e Democratici – LeD, che in un post Facebook corredato da un'immagine creata dalla IA, ha scritto:
“40.000 secondo gli organizzatori… secondo la questura? Era questo il ritornello che seguiva sempre i comunicati dei grandi eventi. Ma quella del Comune di Gubbio sembra più che altro una barzelletta, volta soltanto a mettere una toppa sul bluff che si è consumato a Gubbio per 3 giorni! Tra degustazioni fantasma e confusione totale nella gestione della viabilità, con i residenti impossibilitati a far ritorno a casa, non si è consumata la sagra della salsiccia, ma la sagra dell’incompetenza!”

Parole pesanti, che dimostrano come la questione abbia superato i confini della valutazione dell’evento per sfociare in un confronto politico e di percezione pubblica.
Dal nostro punto di vista, è plausibile che si tratti di un errore di battitura o di una stima visuale approssimativa, piuttosto che di un dato verificato. Numeri come 40.000 presenze in tre giorni avrebbero comportato un sovraffollamento evidente, una pressione insostenibile sulla viabilità, carichi turistici comparabili a eventi di richiamo nazionale.
Si consideri che persino la Festa dei Ceri, punto massimo della partecipazione cittadina, non arriva a cifre di quel genere e le manifestazioni consolidate come quelle del Maggio Eugubino attirano numeri importanti ma certamente più contenuti.
Un’affluenza nell’ordine delle 4.000 persone complessive, distribuite in tre giornate, appare molto più coerente con le dimensioni dell’evento e della città.
“Ciccia – L’Italia in 20 Salsicce” ha comunque offerto un’esperienza gastronomica variegata con degustazioni regionali, concerti serali, format diffuso tra le taverne, pubblico eterogeneo.

Molti visitatori hanno apprezzato l’atmosfera conviviale e l’uso del centro storico come scenario narrativo dell’esperienza. Tuttavia, non sono mancate criticità sulla viabilità, con alcuni residenti che hanno lamentato difficoltà a rientrare nelle proprie abitazioni a causa della gestione del traffico.
Una migliore regolazione degli accessi e una più chiara comunicazione dei percorsi potrebbe essere una soluzione per le eventuali edizioni future.
Altro elemento criticabile è il riferimento, contenuto nel comunicato ufficiale, a un pomeriggio culturale dedicato alle Tavole Eugubine, presentato come legato alla relazione tra cibo, identità e tradizione. Un accostamento che in questo caso ha generato ulteriori perplessità.

Le Tavole Eugubine, infatti, non descrivono semplicemente pietanze, ma riti sacri, in cui il cibo ha valore liturgico e sacrale. Trattarle come semplice “ispirazione gastronomica” rischia di banalizzarne la portata storico-religiosa.
Come dire, per paradosso, che “un sacerdote che consacra l’ostia equivale a uno chef che prepara una degustazione”.
L’evento, per dimensioni e finalità, può considerarsi positivo entro i limiti di una manifestazione locale, ma la narrazione pubblica è stata indebolita da stime gonfiate, riferimenti impropri e un tono troppo trionfalistico. Così si è offerto terreno alla facile satira delle opposizioni politiche.
La lezione è chiara, non mi peremetto di dare lezioni ai colleghi ma un qualsiasi esperto di comunicazione raccomandrebbe pochi principi da rispettare: realismo, rispetto dei riferimenti storici, misura nei toni, dati verificabili.
“Ciccia” ha dimostrato che Gubbio può ospitare eventi gastronomici diffusi di qualità. Tuttavia, per trasformare un’iniziativa locale in un appuntamento riconosciuto e stabile, sarà fondamentale migliorare la gestione logistica, fornire stime attendibili e certificate, evitare parallelismi azzardati con simboli identitari, calibrare la comunicazione per non scivolare nel grottesco.
Perché un evento può essere riuscito anche senza dover diventare, numeri alla mano, il “Woodstock della salsiccia”.
E, soprattutto, perché una buona sagra merita di essere raccontata bene, con rispetto della realtà e dell’intelligenza di chi la vive.