L’Ordine degli Architetti di Terni ha scelto di inaugurare un percorso di memoria attiva restituendo voce e attualità alla figura di Carlo Fancelli, a trent’anni dalla sua scomparsa. In lui si intrecciano il progettista capace di ridisegnare la geografia degli impianti sportivi in Umbria e nel centro Italia, il professionista attento alla dimensione sociale dei luoghi e il cittadino impegnato nella vita sportiva e culturale della comunità.
L’intervista con il presidente Stefano Cecere non si limita a ricordare le opere più note, come il Paladivittorio e il Palazzetto del Tennistavolo, ma prova a ricomporre il profilo di un architetto che ha interpretato lo sport come infrastruttura di coesione, lavorando con rigore tecnico e sensibilità per le esigenze di chi quegli spazi li avrebbe abitati. Ne emerge il ritratto di una personalità discreta ma decisiva, capace di lasciare eredità tangibili nei quartieri, nelle società sportive, nelle esperienze dei ragazzi che hanno trovato in quei luoghi occasioni di crescita, incontro e appartenenza.

Presidente Cecere, da dove nasce l’idea di dedicare degli appuntamenti fissi della memoria architettonica?
Sentiamo il dovere istituzionale e civile di custodire e tramandare la storia professionale della nostra città. Terni è stata culla di figure di grande spessore, architetti il cui lavoro ha contribuito in modo decisivo alla crescita sociale, sportiva e culturale dell’intero territorio. Vogliamo istituire momenti periodici per onorare chi ha lasciato un segno tangibile. In questo solco si inserisce il ricordo di Carlo Fancelli, di cui ricorre il trentennale della scomparsa: un esempio perfetto del valore che vogliamo riportare alla luce collettiva.
Qual è stata l’evoluzione professionale di Fancelli? Come ha mosso i primi passi?
Grazie alla collaborazione dell’architetto Danilo Pirro, abbiamo rintracciato suo figlio, che oggi vive e progetta nel Connecticut. Parlare con lui è stato fondamentale per arricchire il nostro ritratto. Carlo Fancelli fu un professionista che costruì la sua carriera con una pazienza e una dedizione esemplari. Dopo una laurea in Architettura nel 1969, con una tesi quasi profetica su un “Palazzo per lo Sport a Terni” guidata dal professor Carbonara, si formò alla scuola di maestri come Sconocchia e Montani. In quel periodo assimilò i principi cardine del rigore, della disciplina e del profondo rispetto per il contesto. Questi valori divennero le fondamenta del suo studio, aperto poco dopo, dove iniziò a sviluppare una cifra progettuale personale e riconoscibile.
È ricordato soprattutto come “l’architetto dello sport”. Come nacque questa vocazione?
Da una passione autentica e viscerale. Instaurò subito un legame fortissimo con il CONI, a livello provinciale e regionale, stringendo con il presidente Ferdinando Rossi un sodalizio professionale e umano che durò una vita. Per Fancelli lo sport non era un semplice settore edilizio: era un potente collante sociale, uno strumento di educazione e crescita. La sua opera lo testimonia: campi da calcio, palasport, piscine, bocciodromi, strutture per l’atletica e il tennis tavolo. Ha letteralmente costellato il centro Italia di infrastrutture sportive che sono ancora oggi in piena attività e punto di riferimento per le comunità.

Quale ruolo ebbe la sua coordinazione regionale per il SIS Umbria negli anni ’80?
Un ruolo assolutamente centrale e trasformativo. Come responsabile della progettazione, ebbe l’opportunità e l’onere di plasmare il volto dello sport regionale, realizzando un numero impressionante di impianti, spesso finanziati dal Credito Sportivo. Quel decennio segnò in modo indelebile l’Umbria sportiva. La sua firma progettuale è visibile a Todi, Massa Martana, Norcia, Spoleto, Gubbio, Trevi, Camerino, San Giovanni Valdarno e in tantissime altre località: un’eredità diffusa e concreta.
Oltre agli impianti, come si manifestò il suo impegno per la comunità ternana e umbra?
Fu un impegno a 360 gradi, essenziale per capire la sua statura. Fu corrispondente per “Il Tempo”, seguendo con il cuore le vicende della Ternana. Fu tra i fondatori della scuola calcio della Virtus Terni, nella parrocchia di Sant’Antonio, e promosse la riqualificazione del campo di via Piemonte, dando vita a un vivaio giovanile che formò generazioni di ragazzi. A Capodacqua di Foligno, un luogo a lui caro, diede impulso a un’altra realtà sportiva che oggi porta il suo nome. E non fu solo sport: promosse anche un concorso internazionale per fisarmonica in memoria del cugino Luciano. Era un uomo che vedeva nella cultura e nell’aggregazione sportiva gli strumenti più alti per costruire comunità.
Opere come il Paladivittorio e il Palazzetto del Tennistavolo a Terni sono icone. Cosa le rende così speciali?
Sono diventate parte dell’identità cittadina. Il Palazzetto del Tennistavolo è un’eccellenza riconosciuta a livello nazionale, il Paladivittorio è un presidio sociale che ha accompagnato la vita di intere generazioni. Queste opere incarnano la sua filosofia: architettura funzionale, essenziale, sostenibile, che nasce dalle esigenze di chi la vive. Non erano monumenti da contemplare, ma macchine perfette per lo sport e l’incontro, spazi pensati per essere abitati e che per questo sono ancora vitali.
In che modo l’Ordine intende onorare la sua memoria in questo anniversario?
La nostra intenzione è inserire la sua figura in modo strutturato nel ciclo di incontri dedicati alla memoria architettonica. Per Fancelli stiamo valutando l’organizzazione di un evento dedicato, come una conferenza di approfondimento, in grado di restituire la ricchezza della sua personalità: l’architetto, il pianificatore sportivo, l’animatore sociale, il giornalista, l’uomo di cultura. Sarebbe il modo più giusto per celebrare non solo le sue opere, ma soprattutto il suo esemplare modo di intendere la professione al servizio della collettività.