12 Sep, 2025 - 13:08

Cappelle storiche dell'Umbria: un viaggio tra affreschi, architetture sacre e piccole meraviglie nascoste nei borghi e nelle campagne della regione

Cappelle storiche dell'Umbria: un viaggio tra affreschi, architetture sacre e piccole meraviglie nascoste nei borghi e nelle campagne della regione

Preparatevi a un viaggio fatto di piccole rivelazioni: nelle cappelle storiche dell’Umbria la grande storia si cela nei dettagli più intimi, e voi sarete chiamati a scoprirla. Non si tratta soltanto di visitare chiese: è attraversare spazi dove la luce sembra scandire il tempo, dove un affresco sbiadito racconta la mano di un maestro e dove un altare minuto custodisce devozioni popolari che parlano di vite, speranze e perdono.

Camminerete tra borghi arroccati e campagne silenziose, scoprendo cappelle che sembrano sospese nel tempo: volte basse che accolgono preghiere antiche, nicchie adornate di ex voto, cappelle rurali decorate da mani sapienti e piccoli oratori di confraternite che custodiscono tesori inattesi. Ogni luogo possiede un’anima propria - a volte raccolta e intima, a volte sorprendentemente sontuosa - ma sempre capace di tessere un dialogo vivo tra architettura, pittura e devozione.

Gli affreschi, anche quando frammentari, sono vere finestre sul passato: santi che invitano alla pietà, Madonne che proteggono i campi, narrazioni bibliche che un tempo fungevano da “vangelo visivo” per intere comunità. Vi stupirà scoprire come dettagli minimi - un panneggio reso con grazia, un volto che sorride appena, un cartiglio quasi cancellato - possano cambiare il senso di un ambiente e svelare storie dimenticate.

Questo itinerario è un invito a rallentare e a immergervi nell’atmosfera dei luoghi: prendetevi il tempo di sedervi su una panca consumata, di alzare lo sguardo e lasciarvi avvolgere dal delicato gioco di luci e ombre. Scoprirete non solo i capolavori più celebri, ma anche piccole meraviglie nascoste - cappelle private, edicole rurali, absidi che conservano tracce di colore - che insieme disegnano il mosaico intimo, prezioso e sorprendente dell’Umbria sacra.

Cappella Baglioni - Spello: un capolavoro che parla di cielo, arte, luce e vita

A Spello, tra vicoli lastricati e case in pietra rosa, si cela uno scrigno che sembra fatto apposta per sorprendere chi sa cercare la bellezza. È la Cappella Baglioni della Chiesa di Santa Maria Maggiore, piccolo spazio che custodisce uno dei cicli pittorici più iconici del Rinascimento umbro. Varcata la soglia, lo sguardo viene subito catturato da un’esplosione di colore: Pinturicchio, tra il 1500 e il 1501, ha affrescato ogni centimetro di questo ambiente - pareti, soffitto, persino le vele della volta - trasformandolo in una piccola “teca sacra”. Commissionata da Troilo Baglioni, priore e poi vescovo, la cappella doveva essere un manifesto di devozione e prestigio familiare.

Le scene si susseguono in un racconto che mescola sacro e quotidiano: l’Annunciazione, l’Adorazione dei Pastori, la Disputa di Gesù tra i Dottori. Ogni episodio è ambientato in spazi architettonici ricchi di dettagli: loggiati, giardini chiusi, tendaggi, libri poggiati su mensole, vasi di fiori. Sono elementi che rendono il racconto vicino, familiare, come se il sacro abitasse davvero nella vita di tutti i giorni.

Alzando gli occhi, la volta si apre in quattro vele dove le Sibille siedono solenni, con i cartigli che annunciano l’avvento di Cristo. E proprio qui, in mezzo a profeti e angeli, Pinturicchio ha lasciato anche la sua presenza: il suo autoritratto, dipinto su una mensola accanto a libri, con sguardo fiero e la scritta “BERNARDINVS PICTORICIVS PERVSINVS”. È un gesto poetico e audace: l’artista che si mette in dialogo con l’eterno.

Perfino il pavimento racconta una storia: nella seconda metà del Cinquecento venne rivestito con splendide mattonelle in ceramica di Deruta, aggiungendo al tripudio cromatico un tappeto di geometrie e smalti che completano l’armonia dell’ambiente.

Entrare qui significa fermare il tempo. Il silenzio del luogo, il ritmo delle prospettive, la dolcezza dei volti femminili e la delicatezza delle mani che pregano o indicano, invitano a rallentare, a guardare da vicino ogni dettaglio, quasi a sfiorarlo. È un’esperienza che parla non solo agli occhi, ma al cuore, ricordando che il Rinascimento non fu soltanto un’epoca di grandi artisti, ma anche di emozioni e di spiritualità vissuta.

Cappella del Vescovo Eroli - Duomo di Spoleto: il ritorno di Pinturicchio al dialogo con il sacro

C’è un punto del Duomo di Spoleto che invita a rallentare il passo. È la Cappella del Vescovo Eroli, un piccolo spazio laterale che sembra aspettare solo il momento in cui qualcuno entri e si lasci avvolgere dal suo silenzio. Commissionata nel 1497 da Costantino Eroli, la cappella custodisce uno dei cicli più intimi di Pinturicchio, realizzato al suo ritorno da Roma, dopo le grandi committenze vaticane. Qui l’artista non ha bisogno di stupire: qui racconta il sacro con un tono più vicino, familiare, quasi confidenziale.

Il catino absidale si apre in un cielo costellato di cherubini che accompagnano la figura maestosa di Dio Padre, raffigurato nell’atto della benedizione. Poco sotto, la Madonna col Bambino tra San Giovanni Battista e San Leonardo è immersa in un paesaggio che ha la dolcezza dei colli umbri: torri, alberi, piccole architetture si rincorrono fino all’orizzonte, come se il divino scendesse a visitare il mondo quotidiano. La tavolozza di Pinturicchio è un soffio leggero: azzurri che sfumano nel verde, rossi vellutati, luce dorata che sembra filtrare da una finestra invisibile.

Quello che colpisce non è solo la raffinatezza tecnica, ma la sensazione di vicinanza. I volti sono sereni, i gesti misurati ma vivi, le figure non sembrano statue ma presenze che abitano lo spazio accanto a voi. Anche se il tempo ha lasciato i suoi segni e alcune parti decorative sono andate perdute, la cappella conserva intatta la sua capacità di accogliere il visitatore e condurlo al silenzio.

Entrare nella Cappella Eroli è un po’ come sedersi a parlare con la storia dell’arte in un momento di quiete. È uno di quei luoghi dove non serve sapere nulla di teologia per sentire che qualcosa si muove dentro: la luce che gioca sulle pareti, la pietra che respira, le figure che invitano a fermarsi. Un piccolo scrigno che non pretende di stupire, ma che lascia un’impressione profonda - come un incontro che continua a risuonare anche quando si è già usciti dal Duomo.

Cappella Bourbon - Monte Santa Maria Tiberina: umiltà aristocratica e devozione rurale

Monte Santa Maria Tiberina è uno di quei borghi che sembrano sospesi nel tempo, un nido di pietra abbarbicato sul colle, dove ogni passo risuona tra vicoli e archi antichi. Nel cuore di questo gioiello si trova la Chiesa di Santa Maria, con la Cappella Bourbon: un luogo che non si limita a custodire arte, ma che porta impresso il respiro della sua comunità e delle famiglie che qui hanno vissuto. 

L’edificio, eretto in epoca romanica all’inizio dell’XI secolo, conserva intatta la sua essenza sobria e raccolta: una facciata essenziale, un campanile slanciato - ricostruito nell’Ottocento - e un interno a croce latina che guida naturalmente lo sguardo verso l’altare. Cinque capriate lignee scandiscono lo spazio con un ritmo armonioso, quasi a formare una preghiera silenziosa che accompagna chi vi entra in un’esperienza sospesa tra storia, fede e contemplazione.

La vera anima nobile del complesso è però la Cappella Bourbon, voluta nel 1613 dal marchese Gianbattista Bourbon del Monte come luogo di sepoltura. Protetta da una raffinata cancellata in ferro battuto del Cinquecento, custodisce affreschi e decorazioni che, pur nella loro sobrietà, parlano di un’epoca in cui la spiritualità era intrecciata alla rappresentazione del potere. È uno spazio raccolto, ma carico di simboli: qui si avverte il legame tra la grande storia della famiglia e la devozione del borgo. L’altare maggiore, con le sue decorazioni in pietra serena, è il cuore della chiesa. Al centro troneggia una Madonna col Bambino in legno policromo del Trecento. Basta sostare qualche istante di fronte a lei per sentire quanto questo luogo non sia un museo, ma un santuario vivo: uno spazio che continua a nutrire la memoria collettiva di Monte Santa Maria Tiberina.

Entrare qui significa prendersi una pausa: ascoltare il silenzio, lasciare che l’odore della pietra antica e la luce che filtra dalle finestre vi avvolgano. È un luogo che non chiede fretta, ma attenzione; che non impone, ma accoglie. Uscendo, vi sembrerà di portare con voi non solo l’immagine delle opere, ma un piccolo frammento di quella quiete che da secoli abita queste mura.

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Francesco Mastrodicasa
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