La burocrazia costa e in Umbria costa tanto: 708 milioni di euro l’anno tra tempi persi, adempimenti ripetuti e procedure ridondanti. È la stima elaborata dalla Cgia di Mestre, ricalibrando su base provinciale il peso nazionale degli oneri amministrativi. Perugia assorbe la quota maggiore (545 milioni), Terni segue con 163 milioni.
Sono numeri questi che restituiscono un ostacolo strutturale per la competitività del sistema produttivo regionale: per le imprese, soprattutto piccole e medie, ogni pratica è tempo sottratto a innovazione, export e occupazione.
La quantificazione nasce dall’aggancio con la stima nazionale dei costi di interfaccia con la Pubblica amministrazione. La Cgia ripartisce quel totale sul Pil delle 107 province italiane, ottenendo un "conto" annuale per territorio. In Umbria il peso si scarica in modo proporzionale alla concentrazione delle attività economiche: il baricentro è Perugia, dove si addensa la manifattura diffusa e il terziario, mentre Terni sconta il rallentamento della grande industria e la minore densità d’impresa.
La fotografia è utile perché traduce in euro ciò che gli imprenditori vivono ogni giorno: modulistica che cambia, scadenze non allineate, piattaforme digitali non interoperabili, richieste documentali duplicate.
La radice del problema è nell’iper-produzione di norme. L’ufficio studi della Cgia ricorda che nel 2024 l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha pubblicato 305 Gazzette ufficiali, cui si sommano 45 Supplementi. In totale, 35.140 pagine. Un volume che, se impilato, basterebbe a ottenere "una pila di carta alta oltre un metro e 90 centimetri", dichiara l'ufficio studi dell'associazione degli artigiani veneti, come riporta il Corriere dell'Umbria.
L’immagine rende l’idea: per un’impresa, orientarsi tra decreti, delibere, circolari e comunicati significa moltiplicare consulenze e ore-uomo. E se a livello nazionale The European House – Ambrosetti quantifica in 57,2 miliardi l’onere complessivo per le aziende italiane, la quota umbra fotografa l’impatto locale di questo labirinto normativo.
Gli oneri amministrativi non sono una “tassa invisibile” neutra. Si traducono in minori risorse per macchinari e transizione digitale, in ritardi nella partecipazione ai bandi e in un vantaggio competitivo per i player più grandi, che possono distribuire i costi di compliance su strutture interne dedicate. Per il tessuto umbro – fatto di micro e piccole imprese – l’effetto è un doppio freno: produttività che fatica a crescere e investimenti che slittano. Sul lavoro, l’impatto è concreto: procedure lente rallentano nuove assunzioni, allungano i tempi per autorizzazioni ambientali e urbanistiche, complicano l’avvio di cantieri legati a Pnrr e fondi europei.
Ridurre il carico è possibile, a patto di intervenire su nodi operativi:
Sportelli unici davvero digitali: un fascicolo d’impresa unico regionale, interoperabile con Suap, Sued e piattaforme nazionali, per eliminare invii multipli e documenti ripetuti.
Calendario certo delle scadenze: un’agenda annuale “blindata” con finestre di presentazione e modulistica stabile per almeno 12 mesi, così da evitare aggiornamenti in corsa.
Regolazioni per esiti: sostituire check formali con controlli ex post basati su rischi e risultati, limitando gli adempimenti standard alle sole attività ad alto impatto.
Clarity act regionale: testi unici che accorpino norme stratificate e glossari ufficiali per ogni settore (edilizia, ambiente, sicurezza), in un linguaggio comprensibile.
Tutor Pmi per fondi Ue: task force territoriale che accompagni le microimprese nelle domande, con checklist unificate e tempi di risposta certi.
La congiuntura non consente rinvii: tra costo del denaro ancora elevato e domanda estera intermittente, ogni euro perso in adempimenti è un euro sottratto alla tenuta competitiva. L’Umbria ha asset solidi – manifattura specializzata, agroalimentare di qualità, turismo esperienziale, filiere green – ma per sprigionarne il potenziale serve un ambiente regolatorio più snello. Per invertire la rotta, l’obiettivo dev’essere misurabile: ridurre del 20% in tre anni i tempi medi di autorizzazione e il numero di documenti richiesti. Non è solo una battaglia di principio: è politica industriale.