Il Paese frena, ma è il Cuore Verde a incepparsi. Un crollo di quasi il 27% nelle domande di brevetto europeo nel 2024 squarcia il velo su una fragilità antica: la difficoltà di tradurre la ricerca in prodotti. Mentre il Centro nel complesso avanza, l’Umbria arretra con uno dei peggiori risultati d’Italia. Un paradosso che interroga la capacità del sistema regionale - due università, imprese, istituzioni - di fare squadra per la competitività. La partita si gioca tutta sul trasferimento tecnologico, l’anello mancante che può ribaltare la classifica.
I numeri dell’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) per il 2024 disegnano un’Italia a due velocità, con un motore che perde colpi. Le domande di brevetto europeo con titolari italiani sono scese a 4.612, 168 in meno rispetto all’anno precedente: un -3,5% che suona come un campanello d’allarme in un’economia globale dove l’innovazione protetta è moneta di scambio. La mappa regionale, però, racconta storie molto diverse.

Se il Centro-Nord nel suo insieme tiene o cresce timidamente, è il Sud a soffrire con un marcato -16,5%. Ma è un dato del Centro a colpire come un macigno: l’Umbria, con un crollo del -26,7%, passa da 45 a sole 33 domande, piazzandosi tra le regioni con la peggiore performance nazionale. Un dato che non può essere liquidato come fluttuazione statistica, soprattutto se letto alla luce della geografia della conoscenza regionale. Perugia ospita l’Università degli Studi, con i suoi dipartimenti di ricerca, e l’Università per Stranieri. Presidi di sapere che, in teoria, dovrebbero costituire una potente centrale di innovazione per il tessuto produttivo.
Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria, non usa giri di parole: “Il dato sui brevetti interpella direttamente il sistema economico e istituzionale regionale. L’Umbria dispone di competenze, università e imprese di qualità, ma deve rafforzare il collegamento tra ricerca e tessuto produttivo, soprattutto a favore delle piccole e medie imprese”.
Il contesto nazionale in cui si innesta il dato umbro non è dei più rosei. Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere, lega il rallentamento al clima d’incertezza: “L’innovazione resta un fattore cardine per la competitività delle imprese. Il rallentamento della capacità brevettuale delle imprese italiane, registrato nel 2024, è probabilmente frutto delle molte incertezze del contesto internazionale”. Ma aggiunge un elemento strutturale: “Certo sarebbe assai utile individuare le modalità per favorire quanto più possibile l’incrocio tra impresa e ricerca”.
È proprio questo “incrocio” a mostrare le maggiori criticità. La frenata italiana è trainata soprattutto dal calo nei settori ad alta intensità di conoscenza, come fisica ed elettricità, mentre tengono i comparti tradizionali. Un segnale pericoloso, perché è proprio sulle tecnologie avanzate che si gioca la partita della competitività futura. Quando l’innovazione di fronta arretra, si indebolisce l’intera catena del valore. La fotografia regionale conferma l’importanza di ecosistemi coesi. Crescono, infatti, regioni come la Toscana (+15,1%) e l’Emilia-Romagna (+7,5%), storicamente caratterizzate da distretti e reti solide tra imprese, centri di ricerca e servizi.
Crollano, oltre all’Umbria, regioni come l’Abruzzo (-46,7%) e il Friuli Venezia Giulia (-25,2%). La Lombardia, pur restando di gran lunga la prima in valore assoluto, registra un -7%. L’Umbria si trova così in una posizione scomoda: nella macro-area Centro, che complessivamente cresce (+4,7%), rappresenta un’anomalia negativa di grande rilievo. Un “Cuore Verde” che, sul fronte brevettuale, batte a ritmo debolissimo. Il confronto con realtà che hanno saputo costruire ponti più solidi, come l’Emilia-Romagna, dovrebbe servire da stimolo per un’autocritica costruttiva.
Il paradosso umbro non è nella mancanza di strumenti. L’Università di Perugia è attiva nella promozione di spin-off e nella valorizzazione della ricerca. Il sistema delle imprese può contare su realtà come l’Umbria Digital Innovation Hub per l’accompagnamento al digitale. A livello nazionale, il sistema camerale, attraverso Dintec (l’agenzia in house con Enea), porta servizi di innovazione e proprietà intellettuale a supporto delle Pmi. Eppure, il flusso brevettuale si riduce.
“La Camera di Commercio è impegnata nel sostenere percorsi di innovazione, tutela della proprietà intellettuale e trasferimento tecnologico, perché brevettare significa creare valore, occupazione qualificata e nuove opportunità di crescita per il territorio”, ribadisce Mencaroni.
La ricetta, dunque, non è nell’inventare nuovi strumenti, ma nel farli funzionare in modo integrato e semplice per le imprese, soprattutto per le medie e piccole che costituiscono l’ossatura dell’economia regionale. Serve più “scouting” dentro le università per individuare le idee brevettabili con potenziale industriale. Servono servizi rapidi, snelli e comprensibili di tutela della proprietà intellettuale per aziende che spesso non hanno uffici legali dedicati. Servono progetti congiunti, finanziati e monitorati, che partano da problemi concreti delle imprese e coinvolgano i ricercatori in soluzioni applicabili. Infine, servono spazi e risorse per la prototipazione e il test, la fase più delicata in cui un’idea di laboratorio incontra la fattibilità industriale.
Il -26,7% umbro del 2024 non è una condanna. È una diagnosi chiara di un malfunzionamento nell’ecosistema dell’innovazione. Mentre la competizione globale accelera, la regione non può permettersi di lasciare inespresso il potenziale delle sue università e delle sue imprese più vivaci. Un brevetto in meno non è solo un numero, è un’opportunità di mercato inesplorata, un vantaggio competitivo non costruito, un pezzo di futuro che rimane sulla carta. La chiamata alle armi di Mencaroni per una “sinergia totale” è la strada obbligata. L’anno prossimo, i numeri dell’EPO diranno se è stata solo un’esortazione o l’inizio di una reazione concreta. La posta in gioco è altissima: trasformare il sapere accumulato in sviluppo misurabile e duraturo.