Il fenomeno dei cosiddetti “contratti pirata”, già segnalato con forza nel mondo del lavoro dipendente, tocca ora con crescente intensità anche la categoria degli agenti e rappresentanti di commercio. Una distorsione che, secondo le associazioni di categoria umbre, sta alterando equilibri consolidati, aggirando gli Accordi economici collettivi (AEC) e riducendo tutele previdenziali ed economiche a migliaia di professionisti.
È in questo quadro che interviene la denuncia formale di Fnaarc Umbria, la Federazione nazionale degli agenti e rappresentanti di commercio aderente a Confcommercio. Il presidente regionale, Sergio Mercuri, tracciando un bilancio sull’andamento degli ultimi anni, definisce la situazione "ormai strutturale", sottolineando come essa ponga lavoratori e imprese di fronte a rischi diffusi e spesso poco percepiti.
Secondo l’analisi di Fnaarc, un numero crescente di imprese, soprattutto nei comparti vendite, servizi e consulenza, ricorre a figure contrattuali “improprie” per supplire all’agente di commercio, privilegiando procacciatori d’affari, consulenti o incaricati commerciali atipici, spesso in assenza dei requisiti che giustificherebbero tali sostituzioni.
“I contratti pirata - spiega Mercuri - hanno una loro analogia anche nel mondo della rappresentanza commerciale dove trovano applicazione gli Accordi economici collettivi, sottoscritti da agenti Fnaarc con le principali organizzazioni delle imprese del commercio e dell'industria, che disciplinano il rapporto tra agente e mandante. Sempre più spesso vediamo aziende che utilizzano impropriamente figure come il procacciatore d'affari o il consulente al posto dell'agente di commercio, anche quando non ne ricorrono i presupposti”.
Il risultato, secondo l’associazione, è duplice: da un lato un abbattimento dei costi per le imprese, dall’altro la perdita di tutele per il professionista, che rinuncia - talvolta inconsapevolmente - a garanzie previste per legge e a un quadro previdenziale strutturato.
Il quadro nazionale evidenzia la portata del fenomeno: in Italia operano attualmente circa 210.000 agenti di commercio, categoria strategica per l’economia distributiva, a fronte di circa 40.000 procacciatori d’affari. Una sproporzione che, secondo gli esperti, segnala come il ricorso “improprio” al procacciatore sia spesso dettato da ragioni di natura economica, pur restando giuridicamente e professionalmente discutibile. Anche in Umbria il rapporto tra le due categorie riflette la tendenza nazionale, con 2.745 agenti di commercio e 714 procacciatori d’affari.
Per questo, Mercuri ribadisce che “è fondamentale distinguere con chiarezza tra le due figure. L'agente di commercio svolge un'attività stabile, continuativa e professionale di promozione, ed è iscritto a Enasarco, che garantisce previdenza e assistenza. Il procacciatore, invece, agisce in modo episodico, senza vincoli né tutele”.
Sul tema è intervenuta anche la giurisprudenza: la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 27571/2025, ha ribadito in modo netto la natura autonoma, continuativa e professionale dell’attività dell’agente di commercio, distinguendola in modo inequivocabile dalla prestazione del procacciatore occasionale.
Per Fnaarc Umbria il pronunciamento assume carattere fondamentale: la Corte conferma che la sostituzione sistematica dell’agente con un procacciatore “di comodo” non costituisce una mera scorciatoia contabile, bensì una violazione del quadro normativo e degli accordi collettivi che regolano la rappresentanza commerciale.
"Utilizzare contratti da procacciatore per mascherare un vero rapporto di agenzia - avverte Mercuri - non è solo scorretto, ma anche rischioso: si espongono sia le imprese che i collaboratori a controlli da parte di Enasarco e del fisco, con la perdita di benefici e deduzioni fiscali, oltre al rischio di contenziosi legali costosi".
Fnaarc Umbria avverte che i cosiddetti contratti “impropri” non penalizzano soltanto gli agenti di commercio, ma espongono a rilevanti rischi anche le aziende che li impiegano. Tra le irregolarità più ricorrenti gli esperti segnalano:
mancata applicazione degli Accordi economici collettivi (AEC);
omissione degli obblighi contributivi verso Enasarco;
erogazione di compensi inferiori ai minimi contrattuali;
mancato versamento delle indennità di fine rapporto;
difficoltà nel riconoscimento formale dell’attività professionale effettivamente svolta.
Le conseguenze per le imprese possono tradursi in oneri significativi: recuperi contributivi a carico di Enasarco, sanzioni fiscali, pronunce giudiziali che riconfigurano il rapporto come agenziale con l’obbligo di corrispondere indennità arretrate, nonché l’eventuale insorgenza di contenziosi civili da parte dei collaboratori.
Secondo gli analisti del settore, il proliferare dei “contratti pirata” produce inoltre un effetto distorsivo sul mercato: le imprese che rispettano le norme subiscono uno svantaggio competitivo rispetto a chi elude regole e oneri, creando un circolo vizioso che indebolisce la correttezza e la sostenibilità del sistema della rappresentanza commerciale.
Il messaggio del presidente regionale Sergio Mercuri è inequivocabile: la categoria sollecita un intervento rapido e incisivo, sia sul fronte interpretativo delle norme sia su quello dei controlli, al fine di contrastare le pratiche contrattuali improprie che compromettono le tutele dei lavoratori e la leale concorrenza sul mercato.
“Occorre fare ordine - conclude Mercuri - e inquadrare correttamente ciascuna figura. Se il rapporto con il preponente è stabile e continuativo, si tratta di agenzia, non di procacciamento. Gli Accordi economici collettivi restano la nostra garanzia di equità, trasparenza e sostenibilità per un mercato competitivo e leale, dove chi lavora con professionalità possa contare su diritti certi e regole condivise”.