La puntata di “Bellissima Italia – Generazione Green”, andata in onda oggi, domenica 23 novembre su Rai2, ha acceso i riflettori su Gubbio in un racconto coinvolgente e moderno, capace di intrecciare storia, ambiente, tradizioni e gastronomia.
Con la conduzione vivace e curiosa di Fabrizio Rocca, la trasmissione ha mostrato la città in tutta la sua complessità: medievale e spirituale, solenne e popolare, rigorosa e divertita. Una Gubbio autentica, capace di parlare tanto ai cittadini quanto a un pubblico nazionale.
Il percorso televisivo ha seguito un filo rosso: la capacità della città eugubina di custodire un patrimonio straordinario e allo stesso tempo di guardare al futuro con un approccio “green”, fatto di rispetto, cura e conoscenza del territorio.

Il viaggio inizia dai giardini pensili del Palazzo Ducale, un luogo sospeso tra eleganza rinascimentale e panorama mozzafiato sulla città. Qui Rocca introduce il tema della puntata: Gubbio come esempio di equilibrio tra paesaggio, architettura e storia.
Pochi minuti dopo si approda a Piazza Grande, che l’ospite Claudia definisce «una piazza-scultura incastonata nel Monte Ingino».
Un’opera architettonica medievale senza eguali, che unisce simbolicamente i quattro quartieri storici e fa da ponte tra il Palazzo dei Consoli, il Palazzo del Podestà e il neoclassico Palazzo Ranghiasci.
Da qui prende slancio anche il racconto sulla festa più amata dagli eugubini: i Ceri.
«È una festa che si svolge da più di 800 anni» spiega Claudia.
E non c’è eugubino che, fermato da Rocca per strada, non citi la corsa dei tre Ceri come cuore pulsante della città.
La trasmissione chiarisce subito un elemento fondamentale: i Ceri non sono candele di cera, ma gigantesche macchine lignee portate a spalla in corsa dai ceraioli, un rito di appartenenza che unisce generazioni.
Il viaggio dei Ceri inizia la prima domenica di maggio, quando vengono riportati in città dal Monte Ingino, per culminare il 15 maggio con l’Alzata in Piazza Grande e la corsa fino alla Basilica di Sant’Ubaldo.
Gubbio non è solo la città di Sant’Ubaldo: è anche terra profondamente francescana.
La trasmissione lo ricorda raccontando due episodi emblematici:
Il soggiorno di San Francesco presso la famiglia Spadalonga dopo la sua rinuncia ai beni paterni nel 1207.
Il miracolo del lupo, narrato nei Fioretti, in cui il Santo ammansisce un feroce animale che terrorizzava la popolazione.
Claudia accompagna Rocca davanti alle due chiese francescane più significative:
– San Francesco, legata al primo arrivo del Santo;
– San Francesco della Pace, detta anche “chiesetta dei muratori”, dove si conserva una curiosa “tomba del lupo”.

Il racconto televisivo sottolinea il valore simbolico del gesto di Francesco:
«È una grande metafora del potere salvifico dell’amore», ricorda la guida.
Tra gli incontri spontanei lungo le vie di Gubbio, emerge la voce di Patrizia: «La prima cosa da vedere sono le Tavole Eugubine».
Sono sette lastre in bronzo che raccontano riti, funzioni civili e tradizioni dell’antico popolo degli Umbri, testimonianza linguistica e religiosa unica al mondo.
È un richiamo alla memoria più arcaica della città, custodita e ancora viva nell’orgoglio degli eugubini.
Non poteva mancare, nella passeggiata televisiva di Fabrizio Rocca, uno dei momenti più iconici e spiritosi della tradizione eugubina: il battesimo dei matti alla Fontana del Bargello.
Rocca, ridendo e scherzando con i passanti, ha accettato la sfida e si è avvicinato alla fontana, situata nella piccola e scenografica piazzetta dei Consoli.
Qui ha ripetuto il rito antico e goliardico: tre giri completi intorno alla fontana. Terminati i giri, si è chinato per ricevere, secondo tradizione, qualche spruzzo d’acqua simbolico – il “battesimo” – che sancisce l’ingresso ufficiale nella fraternità dei “matti” eugubini.
Tra il serio e il faceto, Rocca ha mostrato con orgoglio la “patente da matto di Gubbio”, consegnatagli subito dopo.
Una delle parti più interessanti del programma riguarda la visita all’Università dei Muratori, Scalpellini e Arti Congeneri, istituzione documentata sin dal 1338.
Qui Rocca scopre quanto sia infondata la frase «se non studi farai il muratore».
Il presidente Giuseppe lo spiega con chiarezza:
«Fare il muratore e lo scalpellino è un’arte che richiede precisione, rispetto e una manualità che si tramanda da secoli».
La trasmissione mostra scalpelli forgiati dai fabbri locali, tecniche antiche, competenze specifiche per ogni tipo di pietra. Un sapere manuale che ha costruito – letteralmente – Gubbio.
La puntata si apre alla componente “green” con un volo ideale verso il Parco del Monte Cucco, paradiso per il volo libero e la vita outdoor.
Poi, accompagnati da Paolo, si entra nella Gola del Bottaccione, lungo il Sentiero dell’Acquedotto medievale.
Qui la trasmissione ricostruisce uno dei capitoli più affascinanti della geologia mondiale: la scoperta di Walter Alvarez.
Tra due strati di roccia, proprio in questa gola, lo scienziato trovò:
– sedimenti vecchi di 66 milioni di anni
– una concentrazione anomala di iridio
Proveniente dai meteoriti, l’iridio divenne la prova della gigantesca collisione nello Yucatán che provocò la quinta estinzione di massa, cancellando anche i dinosauri.
Rocca scherza: «E Gubbio cosa c’entra?»
E Paolo risponde: «C’entra tutto».
La gola, dunque, è una “pagina” della storia della Terra.

Tra le interviste improvvisate, un altro orgoglio locale emerge con forza:
«L’albero di Natale più grande del mondo sta qui!» dice una signora.
Una tradizione che illumina il Monte Ingino e richiama visitatori da tutta Europa.
E tra battute, dialetti, abbracci e sorrisi, la trasmissione mostra una Gubbio accogliente, allegra, profondamente umana.
Il viaggio si conclude con Valerio e le eccellenze gastronomiche locali.
La Crescia, nata 3000 anni prima di Cristo dagli antichi Umbri, viene impastata e cotta sul panaro, pronta a essere farcita con salumi, formaggi, verdure.
Il Brustengo, invece, è una pastella fritta nell’olio umbri, croccante e saporita.
«Mi hai fatto ricreare», dice Rocca in napoletano dopo aver assaggiato.

La puntata si chiude davanti al Teatro Romano, uno dei più grandi dell’Italia antica, capace di ospitare fino a 6000 spettatori.
Un simbolo eterno di una città che continua a raccontarsi tra passato, presente e futuro.