La reazione del sindaco di Terni, Stefano Bandecchi, al rinvio a giudizio per (tra gli altri reati) minaccia a corpo politico è immediata e si affida alla forza delle immagini. Il giorno dopo la decisione del Gup, pubblica sui social il video integrale del consiglio comunale del 23 agosto 2023, lo stesso al centro dell’inchiesta. Un filmato che, secondo la sua versione, dimostrerebbe come sia stato lui la parte offesa.
Mentre la legge prevede una pena da uno a sette anni, Bandecchi punta tutto su quel registrato. “Spero che almeno il giudice se lo veda molto prima, perché è interessante”, scrive in un post. La sua strategia è chiara: spostare il dibattito dai verbali della procura alle immagini dell’aula, affidando all'evidenza del video la propria difesa.
Intanto, gli esponenti di Alternativa Popolare, la forza politica che lo sostiene, imbracciano i social per una difesa politica a tutto campo, attaccando frontalmente il Partito Democratico e in particolare il senatore Walter Verini, che aveva chiesto le sue dimissioni.
Il post di Bandecchi è un concentrato di rabbia e sarcasmo per la decisione assunta in udienza preliminare. Il primo cittadino taglia corto: “Per i non vedenti o i faziosi. Prima o poi troverò uno normale, che fa il Magistrato seriamente”. Poi, il cuore della difesa: il rinvio a giudizio riguarderebbe una lite in consiglio comunale, una “scaramuccia” verbale elevata al rango di reato gravissimo.
La pubblicazione del video ha proprio lo scopo di mostrare il contesto, che lui ritiene mitigante. “Il 338 dovrebbe essere affibbiato a chi blocca il Consiglio Comunale, vediamo chi lo blocca”, scrive, in un’evidente critica al comportamento degli oppositori in quella seduta.
Per Bandecchi, dunque, non si tratta di minaccia, ma di una reazione a interruzioni e provocazioni durante un acceso confronto politico. Una tesi che la sua avvocatura cercherà di trasformare in un perno processuale, facendo leva su quell’audiovisivo che il sindaco spera diventi elemento centrale nel merito.
È però la reazione a caldo dei suoi sostenitori a inquadrare la battaglia politica che si è scatenata. A parlare per prima è Sara Francescangeli, avvocato e presidente del consiglio comunale, figura chiave della maggioranza. Il suo post è un lungo sfogo contro quello che definisce un “doppio standard” del Partito Democratico. “Di scene da Far West, anche in parlamento, sono piene le cronache ed i social, nella repubblica di Terni, tuttavia si va a giudizio”, scrive con ironia pungente.
La Francescangeli sottolinea con sconcerto la gravità dell’imputazione: “E si va a giudizio con gli stessi capi di imputazione del processo Stato-mafia, minaccia a corpo politico”. Il suo attacco si sposta quindi sul senatore Walter Verini, che aveva sollecitato l’intervento del ministro dell’Interno Piantedosi per una sospensione del sindaco. “Chi chiede che per una condanna non ci sia sospensione automatica di un amministratore locale e chi chiede addirittura la rimozione di un Sindaco per un semplice rinvio a giudizio. Chiaro, no?”, chiede retoricamente.
La difesa di Alternativa Popolare si completa con l’intervento di Claudio Batini, presidente della Terza commissione consiliare, che punta il ditto contro le divisioni interne al Pd ternano. Batini legge l’intervento di Verini non come sostegno all’opposizione, ma come sintomo della sua debolezza. “Il continuo 'soccorso' del senatore Verini al PD di Terni è la prova lampante di due cose: la dirigenza locale è debole, divisa e incapace di fare una vera opposizione amministrativa a Bandecchi”, scrive. E aggiunge, in un’immagine cruda: “Un parlamentare dovrebbe occuparsi di Roma, non di supplire alla mancanza di spina dorsale di un partito”. Per Batini, Verini è il “curatore fallimentare” di un partito in “stato fallimentare”.
La partita, ora, si gioca su due tavoli distinti ma intrecciati. Quello giudiziario, dove il video del consiglio sarà un tassello cruciale, e quello politico-mediatico, dove la maggioranza sta costruendo un preciso racconto: quello di un sindaco sotto attacco per un episodio comune nella dialettica politica, ingigantito da un’opposizione debole e faziosa. La richiesta di dimissioni da parte del Pd è stata il detonatore che ha permesso ad AP di serrare le file e lanciare una controffensiva aggressiva, trasformando un’udienza in tribunale in un’arena per lo scontro politico.